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fr. Francesco Neri OFMCap

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Le Costituzioni dei Cappuccini del 2013

Una lettura teologica

di fr. Francesco Neri OFMCap

1. Il cammino postconciliare delle Costituzioni cappuccine

I Cappuccini hanno sottoposto a revisione le loro Costituzioni nel Capitolo generale (2012).[1] Il testo è stato approvato dalla Santa Sede nel 2013, diventando così la terza versione delle Costituzioni postconciliari. Schematicamente, infatti, si può dividere la storia delle Costituzioni in due sezioni; la prima va dalle origini sino al Vaticano II, la seconda scaturisce dal Vaticano II e arriva fino ai nostri giorni.

Questa seconda fase incomincia col capitolo generale del 1964, che avvia il cammino di revisione delle Costituzioni secondo i criteri conciliari e sfocia nel testo approvato dal capitolo generale del 1968 in via sperimentale. Questo testo, minimamente modificato nel 1970 e nel 1974 dai capitoli generali, viene consistentemente riorganizzato e riscritto nel 1982, promulgato nel 1983, approvato dalla Santa Sede nel 1986, ulteriormente corretto e integrato dall’Ordine e presentato alla 1989, e finalmente approvato in modo esaustivo dalla S. Sede nel 1990. Riassumendo, le due date che spiccano nel cammino recente delle Costituzioni sono il 1968 e il 1986. Parallelamente, l’Ordine aveva compiuto un cammino di approfondimento attraverso i primi cinque Consigli plenari (Quito 1971, Taizé 1973, Mattli 1978, Roma 1981) e l’Assemblea di Lublino (1991). Più in generale nella Chiesa vengono raccolti frutti abbondanti dall’evento conciliare nell’ambito del magistero e della teologia, con particolare riguardo alla vita consacrata e al recupero delle fonti spirituali del francescanesimo e dell’Ordine cappuccino. Nel 2006, pertanto, il capitolo generale dispone che la legislazione fondativa dell’Ordine venga ulteriormente rivista, sia per scomporre la parte ispirativa (destinata alle Costituzioni) dalla parte disciplinare (destinata alle Ordinazioni generali), sia per far confluire nel nuovo testo l’ulteriore arricchimento scaturito nel frattempo dal magistero e dalla teologia, nonché dai Consigli plenari VI e VII celebrati ad Assisi.[2]

Senza escludere la premessa costituita dalle Ordinazioni di Albacina (1529),[3] non si può studiare il testo attuale delle Costituzioni senza un’adeguata conoscenza delle Costituzioni antiche, in specie quelle di S. Eufemia (1536). Gli interventi successivi non ne hanno mutato l’apporto di esperienza e spiritualità, e nella loro sostanza esse sono rimaste operative fino al Vaticano II. Ciò è valido non solo in una prospettiva storico-teologica, ma anche teologico-sistematica, in quanto costituiscono tuttora una chiave interpretativa indispensabile per conoscere l’identità cappuccina, e che in più casi sono citate implicitamente o esplicitamente nelle Costituzioni, in cui dunque continuano ad essere presenti.[4]

D’altra parte non si possono neppure ignorare le Costituzioni nelle versioni del 1968 e del 1986. Specie verso queste ultime, infatti, il testo attualmente in vigore non si propone di essere totalmente alternativo, ma piuttosto integrativo, con un’azione che contemperi il rispetto e l’arricchimento.[5] Dunque tutti i contributi nelle redazioni postconciliari delle Costituzioni sono utili a studiare la redazione vigente[6].

2. Il cammino postconciliare della teologia cattolica

Nell’ambito teologico, il periodo successivo al Vaticano II è stato caratterizzato da una straordinaria fecondità.[7] Alle origini vi è certamente l’evento conciliare, che è stato preparato dal rinnovamento degli studi biblici, liturgici, patristici e medievali, ma ha anche provocato nuove importanti ondate nella riflessione sistematica.

Dal punto di vista strutturale, è da considerare il recupero della dimensione storica ed esistenziale nella Rivelazione[8] e in particolare nella cristologia.[9] Ciò si è tradotto non solo nell’elaborazione di una nuova teologia fondamentale e di una nuova attenzione alla teologia della storia, ma anche e soprattutto nel recupero della centralità del mistero della Pasqua, che la deriva nicena aveva in qualche modo subordinato al mistero dell’Incarnazione.[10]

Inoltre, nella cristologia è stata recuperata la prospettiva trinitaria, è si è riscoperta la centralità della relazione di Gesù col Padre, nel vincolo dello Spirito Santo. A ciò ha condotto la riscoperta del mistero di Dio Uno e Trino non solo come uno dei trattati della dommatica, magari il più astruso e inutile, ma anzi come il cuore della teologia e come la struttura su cui organizzare anche tutti gli altri settori della teologia sistematica.[11] Oltre questa, la rilettura in chiave trinitaria ha investito l’etica[12] e l’ontologia.[13]

Proprio alla luce del mistero trinitario, la Chiesa è stata reinterpretata nella categoria della comunione, fuoco di un’ellissi che ha l’altro polo nella missione.[14]

L’antropologia ha accresciuto molto la sua importanza, da un lato sottolineando l’interrelazione tra cristologia e antropologia,[15] dall’altro accentuando nell’uomo la componente della relazionalità come scaturigine della relazionalità divina.[16]

Dal punto di vista soggettivo e tematico, la teologia postconciliare ha visto l’emergere di nuove voci, soprattutto quelle dei laici e delle donne, e di nuovi contesti, particolarmente America Latina, Africa e Asia. Nuovi temi hanno costituito oggetto di studio, a partire dalle problematiche contemporanee, come la giustizia e la pace, la salvaguardia del creato, la bioetica e le neuroscienze. E ancora si sono affermate nuove sedi di confronto e approfondimento, come il dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale.[17]

Tutto questo – il cristocentrismo pasquale e trinitario, l’ecclesiologia di comunione, l’antropologia della relazione – si è poi riverberato nel rinnovamento della teologia della vita consacrata. E a questo punto, dopo quello della teologia, occorre considerare il cammino parallelo del magistero, che ora ha recepito, ora ha indotto i percorsi della teologia. Proprio a proposito della vita consacrata, infatti, dopo quelli del Vaticano II, il documento magisteriale più presente nelle nuove Costituzioni è l’Esortazione apostolica Vita consecrata (1996), emanata da Giovanni Paolo II a seguito del sinodo del 1994.[18]

Altri testi postconciliari di riferimento più globale, e diversamente incisivi sulle Costituzioni, sono il Codice di Diritto Canonico (1983) e il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992).

Sulla base di queste premesse, entriamo nell’esplorazione della teologia disseminata nel testo costituzionale.

3. Temi teologici nelle Costituzioni

Le Costituzioni sono un testo di natura eminentemente giuridica. La loro funzione è di disciplinare la vita dei frati, ovunque sono presenti, nei suoi principali aspetti. Tuttavia, sia perché si rivolgono a religiosi della Chiesa cattolica, sia perché, secondo un’impronta mantenuta per circa cinque secoli, le Costituzioni dei Cappuccini intrecciano la componente spirituale e la componente normativa, esse inevitabilmente contengono una densa componente teologica. Lo studio di esse dovrà coinvolgere l’ambito giuridico o quello del francescanesimo, essere condotto in prospettiva storia e filologica, seguirne il tracciato psicologico e formativo, ma dovrà anche prenderne in considerazione l’apporto della teologia che in esse è contenuta. Articoleremo l’esame nei tre nuclei del mistero di Dio, del mistero della Chiesa, del mistero dell’uomo.

3.1. Il mistero di Dio

Possiamo catalogare i testi costituzionali che parlano di Dio[19] in gruppi: (a) i testi che parlano di Dio presentando la SS.ma Trinità dal punto di vista della unità sostanziale; (b) i testi che presentano il mistero divino nell’articolazione delle tre Persone; (c) i testi che menzionano distintamente solo una Persona, e quindi il Padre o Gesù o lo Spirito; (d) infine alcuni testi che adoperano il termine «Dio» o il termine «Signore», senza però che si possano intendere con certezza di riferimento al Padre o a Gesù o alla SS.ma Trinità considerata sub specie unitatis. Per praticità seguiremo l’ordine del Simbolo, il medesimo adottato dal Catechismo della Chiesa Cattolica, per cui considereremo distintamente le tre Persone divine nella successione del comando battesimale, e poi esamineremo i testi trinitari che presentano le Persone congiuntamente.

1. La persona di Dio Padre viene considerata anzitutto, conformemente al primo articolo del Simbolo, come il principio della creazione. Il Padre è il Creatore (13,4), il quale nella creazione ha espresso la propria potenza (105,3), facendo ogni cosa con sapienza e amore (18,1). Egli rivolge il proprio sguardo sul mondo (13,4) e sotto lo sguardo del Padre il mondo è chiamato a vivere come un’unica famiglia (13,1: AG 1). Dio dà testimonianza di sé allora anzitutto nella creazione, anzi «in tutte le creature» (45,2).

Ma Dio entra nella storia altresì con la sua provvidenza (67,1), con la quale si prende continua cura degli uomini (77,1; 108,1; 178,3), e della quale chiama gli uomini a divenire collaboratori (108,2). Egli «è presente e agisce nella storia del mondo» (108,5), così da manifestare la sua provvidenza «in eventi e fatti ma anche in correnti di pensiero ed esperienze di vita» (108,4). Dio, infatti, «ha seminato cose buone e belle nel cuore dell’uomo e nell’armonia del creato» (156,1).

Dio entra nella storia ancora attraverso la rivelazione. Egli già parla «nei segni dei tempi, nella vita degli uomini, nel nostro cuore» (45,2), ma, in quanto «ci ha amato per primo» (45,2), ha inviato il Figlio (88,2; 157,3), l’Unigenito, per amore del mondo (105,4), e nel Figlio, nel Verbo incarnato, «ha rivelato se stesso e ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà» (158,2), il proprio disegno (17,3). Egli ha costituito Cristo «giudice, legislatore e salvezza degli uomini» (189,2), e insieme con lo Spirito gli ha reso testimonianza (189,2).

Chiama perciò gli uomini a «seguire le orme del suo Figlio diletto» (16,3), e premierà chi in tale sequela persevererà fino alla fine (168,5). L’offerta del Padre è universale, rivolta cioè a tutti gli uomini, che chiama a «partecipare all’opera della creazione mediante il lavoro» (78,1), e ad ogni uomo, Egli che «vede nel segreto» (147,7) e «con la sua voce parla al cuore» (45,1.3). Nondimeno, il Padre è anche colui «rivela ai piccoli i segreti del regno dei cieli» (24,3), poiché «ama e cerca i poveri» (60,3; 61,6).

Egli raduna il suo popolo, che è la Chiesa, e in essa chiama i cristiani in ogni stato a lavorare nel suo campo (80,4) e a giungere alla perfezione della carità (16,1). Dio ha mandato gli apostoli in tutto il mondo (15,2), continua a parlare alla Chiesa nella liturgia (53,1), dona i talenti (79,2; 81,1; 87,4), stabilisce i ministeri (117,3), ispira l’apostolato anche individuale (148,1). Alcuni poi, per amore (162,1), quelli che vuole, li chiama a donarsi a Lui (16.3; 17.5; 44.1) nella vita religiosa (16,3), e più in particolare nell’Ordine dei Cappuccini (162,1), senza mai revocare i suoi doni (184,2), e assicurando gli aiuti necessari a vivere la consacrazione (171,4). Il Padre dona alla Fraternità ogni fratello (28,1) nella diversità dei doni (79,2; 89,1), e in particolare i ministri (12,2), e manifesta la sua bontà e benignità «anche attraverso il volto dei frati e la vita delle fraternità» (45,8).

Il volto del Padre è tratteggiato con l’affermarne che è carità (59,1; 109,1), bontà (16,1; 44,4, 45,8; 67,1), benignità (45.8), amore che accoglie e perdona (163,1), pazienza (60,5), mansuetudine (60,5), misericordia (51,2; 152,2), compassione (14,2), umiltà (14,2; 60,2; 60,5), onnipotenza (21,4; 105,3; 109,5), sapienza (105,3), pace (44.4), santità (21,4; 109,1; 152,2), bellezza (160,5; 56,1; 156,1; 169,3.4), splendore infinito (169,3), grazia multiforme (57,2). Il Padre è altissimo (77,4), «sommo Bene e tutto il Bene, dal quale procede ogni bene» (13,1.2; 46,6; 108,5), «tutta la nostra ricchezza a sufficienza» (77,4), il vivente (106,4), l’Assoluto di cui gli uomini sono assetati (59,2; 181,2).

All’adorazione del Padre, san Francesco attinge il sentimento della fraternità universale (13,1), e a lui riconduce il dono dei fratelli e la rivelazione della vita secondo la forma del santo Vangelo (4,1). Perciò i frati, nella scia del fondatore e come tutti i suoi figli, offrono a Dio totalmente la vita mediante la consacrazione (9,2; 21,4; 35,3; 47,1). Essi sono chiamati a servire, amare, adorare e onorare Dio, con cuore puro e con mente pura (59,1); adorare Dio in spirito e verità (33.1; 54,2); amare Dio sopra ogni cosa (9.3; 174,1); fissare in Dio la mente in Dio (47,6), lo sguardo e il cuore (59,2); a Lui rivolgere tutte le intenzioni e le forze (80,4); cercare la volontà di Dio in ogni avvenimento e in ogni azione (158,6.7); offrire a Dio la volontà (158,7; 159,3; 160,2; 165; 166); attrarre gli uomini ad amare Dio con gioia (15.5) vivere per la gloria di Dio (9.3). Anzi le fraternità locali hanno la missione di essere luoghi per cercare Dio a amarlo in ogni cosa e sopra ogni cosa (161,1; 181,2), e il capitolo ha lo scopo di cercare la volontà di Dio (141,2).

Il disegno di Dio è progetto di salvezza, al quale quotidianamente ci chiede di partecipare (17,3; 51,1; 184,1), e che può essere individuato attraverso i segni dei tempi (149,1), poiché si insinua nella trama della storia, nella religiosità popolare e nelle particolari culture delle diverse regioni (50,4). Inoltre parla nella liturgia (53,1), perciò si può farne esperienza nella preghiera (46,6; 52,2; 55,7), lodandolo e meditando la sua Parola (15.5; 49,5); parlandogli col cuore (52,2), con fiducia (80,4; 177,5), instaurando con lui un filiale colloquio (45,5), fino ad offrire a Dio, uniti a Cristo nell’Eucaristia, la lode della creazione (13,2) e la fatica e il frutto del lavoro quotidiano (80,4).

Perciò il Padre è fonte e contenuto della speranza nella storia (168,4) in quanto è presente con la sua Provvidenza (108,1), riceve il grido dei poveri (46,3) disponendo per loro la sua mensa (68,4; 111,6), e agisce nella storia del mondo (108,5), anche nelle vicende quotidiane e nelle realtà umane (50,3), nonché nelle culture e nelle religioni (117,7). Ma Dio Padre è finalmente il premio eterno per quanti persevereranno sino alla fine (168,5) e saranno introdotti nel suo riposo (52,2), allorché egli sarà tutto in tutti (169,6).

2. Il Signore Gesù Cristo[20] è «il Figlio che tutto riceve dal Padre e tutto comunica con il Padre nello Spirito» (60,2). Egli è «principio e fine» della creazione (105,2), primogenito delle creature (13,1), in ognuna delle quali si può scorgere la sua immagine (13,1; 46,7).

Egli è il Verbo che Dio pronuncia nella storia (45,2) mediante l’incarnazione. Mandato dal Padre nel mondo (146,1; 157,3) come dono d’amore (105,4), ha assunto «la condizione di servo, è venuto non per essere servito, ma per servire dare la propria vita per la salvezza di tutti» (14,1). Egli, da ricco che era, entra nel mondo in una condizione di povertà, per farci ricchi per mezzo di essa (60,2), e si così si manifesta «la massima manifestazione dell’umiltà di Dio» (60,2),

Nato da Maria (181,3) nel presepio (60,3), è povero e umile (16,4; 46,3). Si trova in una condizione di vita verginale (169,4), e durante la vita nascosta lavora con le proprie mani, sperimentando la fatica (78,2).

Ricevuta la missione dal Padre (111,1) e «consacrato con l’unzione dello Spirito» (146,1) nel battesimo, guidato dallo Spirito Santo si ritira nel deserto e vi digiuna quaranta giorni e quaranta notti (111,1).

Annuncia il Vangelo del Regno di Dio ai poveri (15,4; 60,2; 109,1; 146,1; 150,1), che il Padre cerca con amore (60,3). Percorre le città e i villaggi (153,2), vivendo come pellegrino (104,1). Cura ogni malattia e ogni infermità (153,2). Chiama tutti alla conversione (109,1), ed alcuni alla sequela, come il giovane ricco (19,1). Prega in modo incessante (15,1), ritirandosi in contemplazione sul monte (15,4), facendosi partecipe di ciò che vivono i suoi fratelli (50,1.5).

Venuto non per essere servito ma per servire, lava i piedi agli apostoli e raccomanda loro di fare altrettanto (159,1), volendo un’unità fraterna così perfetta da far riconoscere al mondo che il Figlio è stato inviato dal Padre (157,3).

Egli si ciba della volontà del Padre (158,3), nella quale depone la propria volontà (165,1), e si fa obbediente fino alla morte (22,2; 158,1) nella Croce, imparando l’obbedienza dalla passione (165,5).

Con la Croce, Gesù ci ama per primo, fino al dono supremo di sé (170,1), per la salvezza di tutti (14,1), liberandoci dalla schiavitù del peccato (158,1). Il suo costato trafitto è sacramento di unità (88,3). Nel «nudo Signore crocifisso» (60,5) giunge a compimento il mistero di umiltà e carità, preparato dal Natale (52,5), e perpetuato nell’eucaristia (14,1).

La sua Risurrezione sostiene la nostra speranza (51,2), e nella celebrazione dell’eucaristia se ne pregusta la gloria (2,2).

Risorto, il Signore ha inviato gli apostoli ad evangelizzare tutte le genti (15,2; 150,1; 175,1), così che la sua missione continuasse nella Chiesa (146,2). Il Risorto unisce a sé la Chiesa nella preghiera di lode e di intercessione ch’egli presenta al Padre a favore di tutti gli uomini (49,1; 50,1). Nel Vangelo e nei sacramenti donati alla Chiesa, il Risorto si fa presente con la sua virtù salvifica (151,1; 158,4). È presente altresì in forma germinale nelle culture e nelle religioni (177,7). Il Signore verrà di nuovo nella gloria (2,2), allorché si celebrerà l’incontro definitivo con lui (169,4) e pronuncerà le parole del giudizio finale (104,1).

Molteplici sono i titoli cristologici adoperati dal testo costituzionale. Cominciando con i nomi trinitari, Gesù è il Figlio di Dio (14,1; 88,2), il Figlio del Padre (32,1), il Figlio diletto (16,3), il Figlio unigenito (105,4), che tutto riceve dal Padre, e tutto comunica con il Padre nello Spirito (60,2); l’immagine della bontà di Dio (189,2); la Parola (151,4), il Verbo con cui Dio parla (45,2), presente con i suoi germi nelle religioni e nelle culture (177,7), e infine il Verbo fatto carne (158,2), il Dio-Uomo (45,3). In prospettiva economica, è il primogenito delle creature (13,1), colui che il Padre ha mandato nel mondo (146,1; 157,3); la via, la verità e la vita (26,4); il fratello (61,2; 77,1), primogenito tra molti fratelli (88,2), nel quale essi formano una sola famiglia (5,4); il Vangelo di Dio (175,1); il Salvatore (13,1) e Redentore (188,3); il Maestro (15,2) divino (150,3), ottimo (54,2), sapientissimo (19,1); la Sapienza di Dio (188,3), la luce che illumina gli uomini (105,4) e la salvezza di tutte le genti (181,3); il Servo (14,1), povero, mite, umile (16,4; 35,4; 46,3); il buon pastore (152,1); l’Agnello accanto al trono (49,2); lo Sposo della Chiesa (169,4), il Sacerdote che ha introdotto sulla terra l’eterno canto di lode (49,2) e sulla cui eterna mediazione si fonda la liturgia (47,1).

In particolare per i frati è il vestito (35,4); la vita, l’orazione, l’azione (45,4); il contenuto della predicazione (150,4); colui del quale seguire le orme (2,1), da discepoli (55,5 182,1), profeti (39,1) e testimoni (182,3). In Cristo sono i meriti, gli esempi di vita, gli aiuti e i premi, e in lui si fissa ogni pensiero, ogni riflessione e imitazione (189,2).

Vale la pena di riportare la reliquia della dossologia conclusiva, che risale alle Costituzioni del 1536 e costituisce una testimonianza commovente dell’amore dei Cappuccini a Cristo ma è anche un piccolo compendio di cristologia. Gesù è detto «luce ed attesa delle genti, fine della legge, salvezza di Dio, Padre del secolo futuro, Verbo e potenza che tutto sostiene e infine nostra speranza, nel quale tutto è possibile, tutto è soave e leggero, che conosce la nostra fragilità» (189,1), e ancora «Dio e uomo, luce vera e splendore della gloria, candore di luce eterna e specchio senza macchia, immagine della bontà di Dio, che il Padre ha costituito giudice, legislatore e salvezza degli uomini, al quale il Padre e lo Spirito Santo hanno reso testimonianza» (189,2).

Ne scaturisce una relazione dei frati con Cristo, che è una plasmazione e una crescita (1,5), la sequela di un maestro (117,1), un contatto vivo per trovare in lui l’identità (32,3), e si realizza il pensiero e la riflessione costanti (189,2), la devozione e imitazione attraverso san Francesco (3,2), la ricerca di configurazione e imitazione (109,7), l’assimilazione dei suoi sentimenti (23,1), il radicarsi nei suoi esempi e insegnamenti (10,2), la sequela come della povertà (61,1). La conoscenza di Cristo si sviluppa nell’obbedienza (158,4), nella preghiera (54,6), attraverso il fissare lo sguardo su di lui, per conoscerne la volontà e piacergli con cuore puro (188,3), e soprattutto con la pratica evangelica (150,5) e la partecipazione e la cooperazione (93,3) alla sua Croce redentrice, da ricordare (112,2), da venerare e predicare (52,5), e da completare anche mediante la penitenza (109,8) e l’accettazione dell’infermità (93,3). Cristo è così il «centro spirituale della fraternità» (83,4).

3. Lo Spirito Santo[21] viene presentato nella sua azione come il «creatore e santificatore» (78,3); «fuoco ardente» (59,2); «la remissione dei peccati» (114,1); «potenza» (16,1; 169,1), «forza» (157,4).

Lo Spirito ha agito su Gesù consacrandolo con l’unzione (146,1), guidandolo nel deserto (146,1). Lo Spirito ha reso testimonianza a Cristo (189,2).

Lo Spirito agisce altresì nella Chiesa, che ha costituito a Pentecoste (181,3), e in cui è vivo e operante (11,1). La conduce a conoscere Cristo per mezzo del Vangelo (1,1), progredendo sempre più nell’intelligenza di esso (1,4). Lo Spirito guida la Chiesa (1,2), la vivifica (175,2), la rinnova (184,3), muove alla testimonianza evangelica (157,4), sostenendo con la propria forza la missione (146,2). Lo Spirito altresì arricchisce la Chiesa di doni e carismi (10,1), suscita in essa le famiglie spirituali (10,1), e nella consacrazione religiosa lo Spirito Santo pone in uno stato di vita che preannunzia la futura risurrezione e la gloria del Regno celeste (33,2), partecipa del mistero della Chiesa totalmente dedita allo Sposo e prepara all’incontro definitivo con Lui (169,4).

Agisce ancora nel singolo credente, posandosi ugualmente sul semplice sul povero (24,3), riversando nei cuori l’amore (169,2), istruendo con la propria voce (9,3), rafforzando la fede (182,3), suscitando l’amore per la bellezza divina (169,4) e anzi trasfigurando nella divina bellezza coloro che vivono nella castità 169,3; muovendo e unificando la preghiera (45,1; 46,5) e l’azione (46,5). Lo Spirito conforma il credente a Cristo, unendolo al suo mistero (33,2) e in lui facendolo crescere (52,4), trasformandolo nell’immagine di Cristo (16,3), conducendolo ad assimilarne i sentimenti (23,1: Fil ), e per mezzo di lui ad offrirsi al Padre (48,4). In tal modo lo Spirito, che grida nel nostro cuore «Abbà, Padre» (45,5), al Padre ci conduce (2,1).

Lo Spirito agisce poi nell’Ordine. Egli, che ha ricolmato (8,1) e infiammato san Francesco (13,1), ha anche suscitato la sua fraternità apostolica (146,3). Perciò ne è la guida (1,4; 59,3; 117,1), riunisce i frati nella stessa vocazione (13,3), conduce l’itinerario di discepolato che è la formazione (23,1) e ne è attore in quanto vivifica interiormente sia i formatori che i formandi (24,1), ed agisce efficacemente nel profitente (21,4). Come ogni singolo credente e la Chiesa tutta, i frati sono chiamati a corrispondere all’azione dello Spirito con docilità (4,2; 158,2) e generosità (114,5), ascoltare la sua voce (9,3), obbedirgli fedelmente (11,1) senza estinguerlo (7,5), e sopra ogni cosa «desiderare lo spirito del Signore e la sua santa operazione» (38,1; 44,4; 45,8; 146,4; 168,5), facendo sì che niente ostacoli, niente separi, niente si interponga a che lo Spirito del Signore agisca e si manifesti (174,2), per venire interiormente purificati, interiormente illuminati e accesi dal suo fuoco dello Spirito Santo (59,2).

4. Infine prendiamo in esame i testi trinitari complessivi.[22] Cominciamo da quelli organizzati secondo l’articolazione tripersonale. Alcuni si elevano a considerare la SS.ma Trinità nella sua dimensione immanente, presentando «l’amore infinito che lega le tre Persone divine» (169,2). «Il Dio altissimo, Trinità perfetta e Unità semplice, è mistero di umiltà» (60,1), e il fondamento di ogni opera storico-salvifica è «la pura relazione di amore tra le Persone divine» (60,1). A noi si mostra in «Gesù Cristo, il Figlio che tutto riceve dal Padre e tutto comunica con il Padre nello Spirito» (60,2).

Altri testi presentano la Trinità in dimensione economica. La storia della salvezza si traduce nella missione che ha il Padre ha compiuto del Figlio, «primogenito tra molti fratelli» (88,2), «consacrato con l’unzione dello Spirito» (146,1), «guidato dallo Spirito» (111,1), «per fare degli uomini una fraternità attraverso la sua morte e risurrezione e mediante il dono dello Spirito Santo» (88,2). A Cristo il Padre e lo Spirito Santo hanno reso testimonianza (189,2).

L’opera della salvezza ha il suo vertice in Maria, la Madre di Dio, figlia e serva del Padre, madre del Figlio e sposa dello Spirito Santo (52,6).

Sul modello mariano, la Chiesa si mette in ascolto del Verbo fatto carne, docile all’azione dello Spirito, per corrispondere al disegno del Padre (158,2). La Chiesa è infatti un mistero di comunione, che risplende specialmente nella vita fraterna, «spazio umano abitato dalla Trinità» (88,3).

Lo stesso Ordine è una fraternità, cioè una comunione di persone consacrate, guidata dallo Spirito Santo, alla sequela del Maestro Gesù, orientata compiere insieme la volontà del Padre (117,1). San Francesco insegna infatti a seguire le orme di Cristo povero, umile e crocifisso, per essere condotti, per mezzo di Lui, nello Spirito Santo, al Padre (2,1). Nell’Ordine, il Padre chiama a donarsi a Lui, seguendo le orme del suo Figlio diletto per essere trasformati nella sua immagine dalla potenza dello Spirito Santo (16,3). La consacrazione nella castità consacrata è un riflesso dell’amore infinito che lega le tre Persone divine, testimoniato dal Verbo che ha donato la propria vita e riversato nei cuori dallo Spirito (169,2). Pertanto la formazione alla vita consacrata è considerata un itinerario guidato dallo Spirito Santo che conduce progressivamente ad assimilare i sentimenti di Gesù, Figlio del Padre (23,1). La professione è compiuta in seguito all’ispirazione di seguire il Vangelo e le orme di Gesù, e consiste in un voto a Dio Padre santo e onnipotente, pronunciato confidando nell’efficace azione dello Spirito Santo (21,4). La preghiera realizza un filiale colloquio con il Padre quando si vive Cristo e si prega nel suo Spirito, che grida nel cuore: Abbà, Padre! (45,5). Con Gesù Cristo presente nell’Eucaristia, i frati offrono mediante lo Spirito al Padre se stessi e le proprie azioni (48,4). Così pure nella liturgia delle ore i frati per fare memoria dei misteri della salvezza si riuniscono nel nome di Cristo, per rendere grazie al Padre nello Spirito Santo (49,3). Nella preghiera in generale i frati si lasciano condurre dallo Spirito Santo, per crescere nel Cristo e così raggiungere la pienezza della comunione con il Padre e con i fratelli (52,4). Il lavoro è interpretato a partire dal Padre che ha fatto ogni cosa con sapienza e amore, chiama tutti a partecipare all’opera della creazione mediante il lavoro; del Verbo incarnato, che ha lavorato con mani d’uomo e ha reso il lavoro strumento di salvezza; dello Spirito che è creatore e santificatore (78). Infine, le relazioni fraterne si fondano nel mistero di amore della Trinità perfetta e della santa Unità del Padre, del Figlio e dello Spirito (88,1).

I testi che abbiamo letto presentano la Santa Trinità secondo l’articolazione tripersonale, ogni persona con le rispettive proprietà. Altri testi presentano la Trinità in modo equiparante, cioè secondo lo schema del comando battesimale. La vita fraterna ha il suo fondamento «nel mistero di amore della Trinità perfetta e della santa Unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Mistero di amore della Trinità perfetta e della santa Unità del Padre, del Figlio e dello Spirito» (88,1). L’intera rete delle relazioni fraterne si fonda sul mistero di amore della Trinità perfetta e della santa Unità del Padre, del Figlio e dello Spirito (88,1). Individualmente, i frati sono chiamati a costruire in se stessi una casa e una dimora permanente al Signore Dio onnipotente, Padre, e Figlio e Spirito Santo (59,3). Le Costituzioni si concludono, rivolgendo «a Cristo, che con il Padre e con lo Spirito Santo vive e regna coeterno, consustanziale, coeguale e unico Dio lode eterna, onore e gloria nei secoli dei secoli» (189,3).

Altri testi presentano la Trinità sub specie unitatis. La professione è emessa a lode e gloria della SS.ma Trinità (21,4; 33,1). San Francesco è ricordato in quanto, prossimo alla morte, impartisce la benedizione della SS.ma Trinità (188,1).

3.2. Il mistero della Chiesa

1. Passiamo ora in rassegna il tema ecclesiologico.[23] Considereremo prima le immagini e le definizioni della Chiesa, quindi il ruolo della Parola e dei sacramenti nella vita dell’Ordine.

Dunque essa è proclamata la Santa Madre Chiesa (10,5; 18,3c; 51,1; 183,2), e professata una, santa, cattolica, apostolica (10,6).

La Chiesa è considerata nella sua scaturigine trinitaria. È la Chiesa del Padre, in quanto popolo di Dio (10,1; 19,6; 184,1). È la dimora di Dio all’edificazione della quale il mondo offre pietre vive (105,5).

È la Chiesa del Figlio, dal cui costato è scaturita (88,3), e della quale è sposa (169,4). Essa è Corpo di Cristo (10,6; 51,1; 175,5), anzi Corpo mistico di Cristo (117,1), il quale l’ha costituita in comunione di vita, di carità e di verità (10,1). Riunirsi nel nome di Gesù fa dei fedeli, dovunque riuniti, un cuor solo e un’anima sola (89,2).

È la Chiesa dello Spirito Santo, il quale la vivifica (175,2) e arricchisce con i suoi doni o carismi (10,1)

A partire dalla sua origine trinitaria, è sacramento universale di salvezza, cioè «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (10,1; 175,1).

La Chiesa è presentata ad intra come una «comunità di fede e di amore» (175,2), «comunione di vita, di carità e di verità» (10,1), «mistero di comunione, la cui ricchezza e profondità si rispecchia nella vita fraterna, spazio umano abitato dalla Trinità» (88,3). Essa è «sacramento di unità» (88,3), una unità voluta da Gesù così perfetta da far riconoscere al mondo che il Figlio è stato inviato dal Padre (157,3). Tale unità non è tuttavia uniformità, in quanto respira «con i suoi due polmoni dell’Oriente e dell’Occidente» (10,6).

La Chiesa, poi, non è fine a se stessa. Infatti – ad extra –, peregrinante nel mondo e nel tempo (175,2), essa è missionaria per sua natura (175,1), continuatrice della missione del Signore Gesù, il quale per ciò le ha donato lo Spirito Santo (146,2).[24] Tale missione è salvifica (16,5), ed è quella di evangelizzare (146,3). In questa, rientra il mezzo del dialogo tanto con le altre Chiese cristiane (39,1) quanto con le diverse religioni (177,7).

La Chiesa stessa, se anche deve provvedere alla propria più ampia edificazione, sa di aver per fine l’instaurazione del Regno di Dio. Il Regno è infatti un «assoluto» (173,3), annunciato ed instaurato da Gesù (15,4; 109,1; 150,1) e rivelato dal Padre ai piccoli (24,3). La Chiesa è dunque funzionale all’avvento del Regno (10,1; 173,7), mediante l’evangelizzazione (96,1), l’apostolato (155,2), la cura dei poveri e dei sofferenti (153,2).

Nella Chiesa la vita consacrata[25] è segno del Regno, e sulla scia di san Francesco (4,1; 175,4) quella dei Cappuccini (15,4; 39,1). I voti sono in vista del Regno (22,1; 22,4; 165,4; 168,3; 169,1.6), e la vita fraterna lo rende visibile (13,4; 106,3). Non ancora pienamente realizzato (33,2; 171,1), del Regno si favorisce la venuta mediante la preghiera (51,2), la conversione alla carità (109,8), il lavoro (51,6), la quotidiana accettazione della croce (110,5; 145,3).

Nel testo costituzionale la Chiesa è presente nella sua struttura gerarchica, composta di chierici e laici (102,6; 177,3). Nell’ambito del clero, si dà rilievo al papa, cui va prestata obbedienza e riverenza, in quanto supremo superiore (11,2), e il religioso ossequio della volontà e dell’intelletto, in quanto maestro supremo della Chiesa universale (183,4) e per il quale occorre pregare (51,1). Obbedienza e riverenza sono dovute anche ai vescovi. Il loro collegio, insieme al papa è «segno visibile dell’unità e dell’apostolicità della Chiesa» (11,2), ed essi sono testimoni della fede e maestri per il popolo di Dio (183,4). Egualmente ai presbiteri si deve prestare onore e attiva collaborazione (11,4).

Quanto ai fedeli laici, ne vanno riconosciuti il ruolo e la missione nella vita e nell’azione della Chiesa, collaborando con loro nell’evangelizzazione e sostenendone le associazioni apostoliche (155,1). Ciò vale specialmente nell’ambito della missione ad gentes (177,3.4). È anche possibile che i laici vengano ammessi a partecipare più strettamente alla preghiera, alla convivenza e all’apostolato dei frati (95,4). Alla loro competenza professionale occorre ricorrere nell’ambito amministrativo (76,5). S’intende che un particolare rilievo è riservato ai laici francescani, i quali con i membri del Primo e del Secondo Ordine formano un’unica famiglia (13,3; 155,2), e s’impegnano a vivere nel proprio stato la perfezione della carità (102).

Viene contemplato anche il ruolo delle donne, delle quali va promossa la dignità e la missione (173,4).

Della Chiesa, l’Ordine è un’espressione (10,6), anzi un organismo nel suo Corpo mistico (117,1), e in essa coltiva la propria identità (24,4). Pertanto l’Ordine è tenuto ad amarla, meditarne il mistero, studiare i suoi insegnamenti e applicarli, partecipare alla sua vita e missione (10,5).

2. Alla Chiesa l’Ordine riconosce i doni ricevuti dal Signore e ad essa affidati, la Parola e i sacramenti nell’alveo della liturgia.

La Chiesa è custode della Parola di Dio trasmessa nella Scrittura e nella Tradizione (183,1). La Parola di Dio, anzi più puntualmente il «santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo» (1,1), è «la sorgente di tutta la vita della Chiesa e annunzio di salvezza per il mondo intero» (1,1). Essa fa nascere ed edifica la vita di consacrazione (53,2).

Per san Francesco[26] il Vangelo è la ragione della vita e dell’azione (1,3), la «forma» (1,3) che plasma la vita (1,5). Perciò, per i frati il Vangelo è la «legge suprema» da seguire in tutte le circostanze della vita (1,5), e possiede una forza trasformante che si manifesta nella fraternità (13,4). La Parola va letta per nutrire la vita spirituale (6,4), pregata nella lectio divina (53,3),[27] meditata con perseveranza (15,5), studiata più profondamente (32,3), condivisa in fraternità (53,4).

3. La liturgia[28] è qualificata come «l’esercizio dell’ufficio sacerdotale di Cristo, il culmine di ogni azione della Chiesa e la sorgente della vita cristiana» (47,1), la fonte a cui alimentare la vita spirituale personale e comunitaria, nonché quella dei fedeli (47,1). In essa Dio stesso ci viene incontro e parla agli uomini, i quali gli rispondono con fiduciosa apertura del cuore (54,1).

Fin dall’iniziazione i frati sono chiamati ad una partecipazione alla liturgia che sia attiva (27,4), devota e dignitosa (47,3), fedele alle norme ma anche creativa e inculturata (47,4), capace di combinare il silenzio (47,5) con il canto e la musica (47,6).

La liturgia delle ore «è preghiera di Cristo, che unisce a sé la Chiesa nella lode e nella supplice intercessione che Egli rivolge incessantemente al Padre a favore di tutti gli uomini» (49,1). Essa estende alle diverse ore del giorno la grazia dell’Eucaristia (49,1), e permette al mistero di Cristo di penetrare e trasfigurare il tempo (49,3).

L’anno liturgico è un itinerario (52,3) che ha al suo centro il triduo pasquale (52,1), ripresentato nella domenica, pasqua settimanale (52,2), ma che abbraccia anche il Natale e le celebrazioni dei santi. Nell’anno liturgico si ricordano i misteri della redenzione e si dispensa la grazia della salvezza (52,1).

4. Passando ai sacramenti in generale, essi sono riconosciuti «sorgente di spirito e di vita, […] ricchezza di grazia, […] fonte inesauribile di nutrimento spirituale e via maestra della formazione» (52,3). Nella loro celebrazione, Cristo si fa presente ai fedeli con la sua virtù salvifica, li santifica ed edifica il suo Corpo, mentre il popolo di Dio rende un degno culto al Signore suo Dio» (151,1). Nei sacramenti i fedeli vengono aiutati a nutrire, irrobustire ed esprimere la fede (151,2).

La vita sacramentale alimenta, sostiene e accresce la fedeltà alla vita religiosa (114,3), in particolare la castità consacrata (171,2). Perciò viene raccomandata in modo più intenso in preparazione alla professione perpetua (33,6), e ai guardiani si fa obbligo di curare che i frati vi siano fedeli (114,7).

4.1. Passiamo ad un esame particolare, cominciando dal battesimo. In questo sacramento è radicata la chiamata alla perfezione della carità, rivolta a tutti gli uomini (16,1). Esso dà inizio alla conversione in nuova creatura (109,2), consacra al servizio di Dio (47,1), chiama tutti indistintamente ad evangelizzare (175,2). Nella grazia del battesimo si radica la consacrazione religiosa, che ha lo scopo di raccoglierne frutti più abbondanti (33,3). Coerentemente, il nome di battesimo va di norma mantenuto da chi entra nell’Ordine (OG 2/12).

4.2. Il sacramento della confermazione non compare mai nel testo costituzionale.

4.3. L’eucaristia[29] è il sacramento che riceve una trattazione più abbondante. Essa è infatti «fonte della vita ecclesiale e radice, cardine e cuore della vita fraterna» (48,1), e nell’Eucaristia si centra la vita cristiana da alimentare nei fedeli (151,3).

La sua celebrazione è partecipazione al mistero pasquale (2,2). In essa si perpetua l’annientamento, di Cristo, iniziato nel presepe e nella croce, poiché in essa «ogni giorno Egli si umilia, venendo a noi in apparenza umile» (14,1). Al contempo nell’eucaristia si pregusta la gloria della risurrezione di Cristo, nell’attesa della sua venuta (2,2).

In essa si ripresenta il sacrificio di Cristo (80,4), che si offre al Padre, intercedendo per i fratelli (50,1), ma anche donandosi interamente ai fratelli (48,1). Occorre perciò parteciparvi con piena consapevolezza e attivamente, «nulla ritenendo di noi stessi, affinché ci accolga totalmente Colui che totalmente a noi si offre» (48,1), offrendo al Padre la fatica e il frutto del lavoro quotidiano (80,4), intercedendo per i defunti (51,2).

L’Eucaristia è anche convito, la mensa necessaria per vivere la fraternità (88,8), poiché nella frazione del pane eucaristico, i fedeli vengono elevati alla comunione con Cristo e vicendevole. La celebrazione va dunque compiuta in letizia (2,2) e, per manifestare l’unità del sacrificio, del sacerdozio e della fraternità, viene raccomandata una messa della fraternità, con la partecipazione di tutti i frati, ogni giorno o comunque frequentemente (48,2). La celebrazione è importante non meno in quanto include la mensa della Parola, così che l’ufficio del guardiano include anche l’omelia nella messa della fraternità (161,4).

Il Signore Gesù è professato presente nelle specie consacrate, e perciò è stabilito che esse siano conservate «nel luogo e nel modo più degni» (48,3), e che vi si sosti dinanzi in preghiera di adorazione «con fede, umile riverenza e devozione» (48,4).

Dalla fonte eucaristica scaturisce la carità pastorale che ci spinge i frati a donare se stessi nella castità (171,2) per il bene del prossimo (151,3).

4.4. Il sacramento della riconciliazione, da stimare grandemente e frequentare assiduamente (114,2), è presentato come il luogo dove, per l’opera dello Spirito Santo, «il quale è la remissione dei peccati», da un lato si sperimentano i benefici del mistero pasquale, dall’altro si partecipa «più intimamente all’Eucaristia e al mistero della Chiesa» (114,1). Di esso vien sottolineata la dimensione individuale quanto quella comunitaria (114,6), con lo scopo di ricostituire l’unione con il Salvatore e l’unione con la Chiesa (114,2). La riconciliazione che Dio dona ai frati nel sacramento trabocca nel perdono vicendevole all’interno della fraternità (114,4). I frati possono confessarsi liberamente da qualunque sacerdote, che ne abbia ricevuta la facoltà da qualunque Ordinario (48,3).

Alla riconciliazione sacramentale, il testo costituzionale associa la raccomandazione a praticare l’esame di coscienza quotidiano e l’accompagnamento spirituale (114,5).

4.5. Le Costituzioni inseriscono nella propria prospettiva anche l’ordine sacro.[30]

Dal punto di vista formativo, si prescrive soltanto che la preparazione dei frati al sacerdozio deve svolgersi secondo le norme della Chiesa (39,4).

Quanto all’esercizio del ministero ordinato da parte dei frati sacerdoti, si richiama alla prontezza nell’amministrare i sacramenti, sia in ragione del loro ufficio sia quando invitati dal clero (151,2), previa una diligente preparazione, nel desiderio di imitare ciò che viene celebrato e di conformare la vita al mistero della Croce del Signore (151,3).

Per manifestare «l’unità del sacrificio, del sacerdozio e della fraternità» (48,2) si raccomanda la celebrazione quotidiana o almeno frequente di una messa della fraternità, con la partecipazione di tutti i frati, inclusi quindi anche i sacerdoti (48,2).

Riguardo alla riconciliazione sacramentale, si asserisce che tale ministero «si addice particolarmente» (152,1) ai membri della fraternità minoritica, in quanto rende possibile frasi prossimi ai peccatori. I confessori sono perciò chiamati a dispensare la misericordia di Dio nel perdono dei peccati, con fedeltà e volentieri (152,1), progredendo nella scienza pastorale e nel retto esercizio del ministero (152,3). Devono saper coniugare lo zelo per la santità di Dio e la sua misericordia con «il rispetto della dignità della persona umana, la carità, la pazienza e la prudenza» (152,2), e a loro si raccomanda «di non adirarsi e di non turbarsi per il peccato di alcuno, ma di trattare il penitente con ogni bontà nel Signore» (48,4).[31]

4.6. L’unzione degli infermi è richiamata in modo implicito, allorché si impone ai ministri, nel caso che un frate venga colpito da grave malattia, di informarlo della sua condizione e disporlo «a ricevere i sacramenti» (92,4).[32]

4.7. Infine, sebbene le Costituzioni siano dirette a celibi consacrati, vi trova spazio anche il sacramento del matrimonio. Su esso si fonda la famiglia, che è «Chiesa domestica e cellula vitale della società» (149,4). Tanto della vocazione alla vita consacrata quanto della vocazione al matrimonio e alla famiglia si afferma che trovano significato e valore «nell’assoluto del Regno» (173,7).

5. Ovviamente in quanto le Costituzioni sono un testo normativo rivolto ad un Ordine religioso, la vita consacrata vi occupa uno spazio ininterrotto, nei suoi vari aspetti. Essa esigerebbe uno studio specifico, e perciò ci limitiamo ad alcune notazioni essenziali.

La natura e il fine dei tre consigli evangelici si collocano in una dimensione cristologica e trinitaria. La formazione alla vita consacrata è infatti «un itinerario di discepolato guidato dallo Spirito Santo che conduce progressivamente ad assimilare i sentimenti di Gesù, Figlio del Padre, e a configurarsi alla sua forma di vita obbediente, povera e casta» (23,1). Partendo dalla considerazione del voto di castità, le Costituzioni rilevano che la vita consacrata è «irradiazione della divina bellezza» (169,3) di Dio che è «splendore infinito» (169,3), grazia l’opera dello Spirito Santo che trasfigura e configura a Cristo e alla sua vita (169,3.4).

Della vita consacrata si proclama la dimensione ecclesiologica. Essa è infatti «un dono insigne che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore; profondamente radicata negli esempi e negli insegnamenti di Cristo, essa esprime l’intima natura della vocazione cristiana e appartiene alla vita della Chiesa, alla sua santità, alla sua missione» (10,2).[33]

Il particolare riferimento alla castità conduce ancora ad illuminare della vita consacrata la dimensione escatologica.[34] Lo Spirito Santo, infatti, rende partecipe il consacrato della dedizione piena ed esclusiva della Chiesa sposa al Cristo sposo, in preparazione «all’incontro definitivo con lui» (169,4). La consacrazione «offre un particolare annuncio della vita futura, nella quale i risorti sono fratelli fra loro davanti a Dio, che sarà per loro tutto in tutti» (169,6).

3.3. Il mistero dell’uomo nel cosmo, nella storia, nell’eternità

Anche i temi dell’antropologia[35] costellano il testo costituzionale. Prenderemo in considerazione dapprima l’uomo nella sua struttura e nella sua dinamicità. Infine raccoglieremo le schegge concernenti la teologia della creazione e della storia, e l’escatologia.

1. Guardiamo dapprima all’uomo nella sua struttura. Conformemente all’antropologia ecclesiale tradizionale, l’uomo è inteso come unità di anima e di corpo, come è detto esplicitamente riguardo a quanto necessario in caso di malattia (92,1). Analizziamone i vari aspetti.

1.1. Soffermandoci prima sull’interiorità dell’uomo, compare il riferimento all’anima, in quanto ne sono nemici l’ozio (78,4) e le mancanze verso la povertà (93,2).[36]

È poi evocato un «uomo interiore», il quale ascolta nella preghiera la voce di Dio (45,1).

Più frequente è il riferimento al cuore. Nel cuore dell’uomo Dio parla (45,1.2) e ha seminato «cose buone e belle» (156,1), soprattutto vi ha collocato lo Spirito Santo (45,5). Perciò nel proprio cuore l’uomo è chiamato a custodire la parola di Dio, a somiglianza di Maria (1,5; 150,4: Lc 2,19.51). Con cuore aperto e fiducioso l’uomo parla a Dio nella liturgia (53,1) e nella preghiera personale (54,1), e con cuore «reso libero dalla grazia» (21,1) l’uomo si unisce a Cristo, restando legato indissolubilmente a Cristo (177,1). Il frate vive la consacrazione con un cuore umile come quello di Francesco (61,2), «generoso e fedele» (2,3; 189,1), «indiviso» (22,4), lieto (171,1; 184,3), puro (44,4; 45,8; 188,3), semplice (149,7), vero e sincero (168,1), libero (169,5), «docile e aperto» (59,1), appagato totalmente solo dalla bellezza di Dio (177,2). Con «tutto il cuore» il frate si affida alla fraternità nella professione (21,4), accoglie la ricchezza della liturgia (52,3), serve i poveri (108,3). Il cuore è altresì la sede dei legami (77,1) e degli affetti, perché in esso si svolge la preghiera francescana, che è appunto affettiva (46,6), e da esso sgorgano «l’adorazione, il ringraziamento, l’ammirazione e la lode» (46,6). Tuttavia il cuore può cadere nell’apostasia e diventare «mondano» (44,3), scivolare nella solitudine (171,3). Perciò è chiamato a sperimentare il pentimento (146,1) e il dolore per i peccati (113,1), e a praticare la continua conversione (5,2; 81,4; 110,1).[37]

Ancora all’ambito dell’interiorità ascriviamo la mente. Con un’accezione conforme piuttosto a quella biblica, si raccomanda di dedicarsi al servizio di Dio con «mente pura» (59,1). In senso più intellettuale, la mente è vista come un modo di accedere alla realtà, uno sguardo («gli occhi della mente»: 53,5). Essa va coltivata nella formazione, ma in concordia con il cuore (38,5), e nella preghiera va illuminata in concordia ancora col cuore e con la voce (47,6).[38]

Le Costituzioni utilizzano il termine spirito. L’accezione è molteplice. Di rado esso compare nella sua accezione antropologica biblica (78,7; 109,5; 172,8; OG 2/1,3). Molto più spesso il termine è usato in senso teologico, per indicare la Terza Persona della Trinità. Oppure per riferirsi alla spiritualità, in contrapposizione con ciò che è mondano o materiale (153,1). Oppure in senso culturale, intesa cioè come modo di sentire, pensare e agire (spirito «di fraternità», «di minorità», «di sacrificio», «di orazione e di devozione», e così via).[39]

1.2. La dimensione fisica dell’uomo è espressa con il termine corpo (92,1; 111,6).[40] Esso va avvolto di «giusta stima» (172,3), assistito nelle sue necessità (153,1), ma anche custodito casto (174,1), ricorrendo alla sua mortificazione (111,6). La fisicità è detta ancora col termine carne: in essa l’ammalato completa quello che manca alla passione di Cristo (193,3: Col 1,24).[41]

La corporeità ha diritto a ciò che le è «necessario» (112,3), esplicitamente il nutrimento del cibo e della bevanda (112,2), e il riposo periodico (186,1).

Il corpo compare ancora in quanto manifesta l’identità sessuata dell’uomo, bisognosa di «accoglienza serena» (172,3) e di maturazione (172,1).

Tra le vicende della corporeità, le Costituzioni considerano la malattia, sia come occasione di apostolato verso gli infermi (149,2; 153,2), sia – sulla scia di san Francesco – soffermandosi in modo abbastanza dettagliato la malattia che colpisce il frate, (92 e 93). Essa esige un accompagnamento da parte della fraternità (92; 93; 112,3; OG 6/1), poiché l’ammalato è considerato una cristofania (92,2). La malattia, peraltro, vissuta nel rispetto della povertà e liberamente accettata, è una vocazione a conformarsi a Cristo, condividendone e completando nella propria carne la sua passione (93,3), fino a ringraziarne il Creatore (93,2). La salute (172,8) e la malattia (92,1) coinvolgono peraltro l’anima e il corpo.

1.3. Nell’insieme, l’antropologia delle Costituzioni manifesta un carattere unitario.

La dimensione interiore è descritta come unità «del cuore e dell’anima» con riguardo all’impegno nella vita fraterna (89,2). Di san Francesco si ricorda che aveva «grande fervore dello spirito e gaudio della mente» (109,5).

L’unità della dimensione intellettuale e di quella affettiva è menzionata a proposito della preghiera, volta «ad illuminare la mente e ad infiammare il cuore più che di formulare parole» (52,2), della formazione che deve coltivare «la mente e il cuore» (38,5), e in genere del servizio a Dio che va compiuto «con cuore puro e con mente pura» (59,1).

L’unitarietà dell’uomo tra interiorità ed esteriorità è espressa con riferimento alla disciplina «dei sensi e del cuore» (172,8), e al servizio di Dio «con cuore puro, con corpo casto e con santa operazione» (174,1), e raccomandando l’uso dei mezzi che favoriscono «la salute dello spirito e del corpo» (172,8).

È altresì richiamata l’unità di essere ed agire, con il richiamo a comportarsi «con cuore puro, con corpo casto e con santa operazione», (74,1), a praticare la penitenza «nel cuore e nelle opere» (16,5), a vivere la minorità «nel cuore, nelle parole e nelle opere» (35,4).

Infine in alcune endiadi è sottesa una dottrina dei sensi spirituali, come quando si abbinano «lo sguardo e il cuore» (59,2), o si richiamano «gli occhi della mente» (53,5).

2. Nelle Costituzioni l’uomo è presente inoltre nella sua dinamicità. Ne è un primo aspetto il ciclo della vita, sotteso con la parabola delle sue fasi. In congruità con queste, la formazione si articola mediante la predisposizione di strutture e programmi adeguati (OG 2/1,3). Sommariamente, le Costituzioni distinguono tra frati nella giovinezza e frati in età più matura o anziani (91). La vecchiaia compare anche per il suo «peso» (110,5), associata alla malattia. Va promossa la dignità della vita umana in ogni sua fase e condizione «dal suo concepimento fino alla morte» (149,4).[42]

3. Sempre in prospettiva dinamica, l’uomo è considerato nella sua relazionalità. Le relazioni in qualunque loro figura – guardano al mistero trinitario, poiché «la pura relazione di amore tra le Persone divine, che trabocca nella creazione e nella storia della salvezza, è modello di ogni relazione umana» (60,1). Ci soffermeremo sulla matrice di relazione costituita dal conflitto per poi passare in rassegna le varie figure della relazione.

3.1. Poiché ogni essere vivente è unico e l’unicità viene dalla specificità di ognuno, la relazione incomincia con l’incontro tra le diversità di cui ognuno e portatore, e quindi con il conflitto, nelle sue varie possibili forme. Le Costituzioni considerano ipotesi di conflitto interne ed esterne all’Ordine, e offrono vie per prevenirne e comporne l’eventuale degenerazione.

Il conflitto primordiale è quello legato al sesso, quindi alla differenza tra uomo e donna (172,3). Vivendo nel celibato consacrato, il cappuccino deve però saper entrare in relazione con le donne con «cortesia, rispetto e senso di giustizia» (173,4), ricalcandosi sull’affetto affetto nobile di frate Francesco verso sorella Chiara (173,4).[43]

L’altro conflitto contemplato dalle Costituzioni è quello collegato all’età. Affinché la differenza di età favorisca «la concordia degli animi e la mutua integrazione» (91,1), i frati giovani devono manifestare agli anziani «segni di una carità premurosa e riconoscente», con la stima e la valorizzazione della loro esperienza; e d’altra parte gli anziani devono accogliere le «nuove e sane forme di vita e di attività» (91,3). In tal modo le generazioni si scambiano le rispettive ricchezze (91,3).

Una diversità specifica dell’Ordine è quella incentrata sul potere, specificamente tra chi è preposto al servizio dell’autorità e chi vi è esposto. Una variante di tale conflitto potrebbe essere quella legata all’ordine sacro, e quindi al conflitto tra chierici e laici. Ma – salvo in prospettiva evangelica che l’autorità e il sacerdozio sono espressioni di ministero – le Costituzioni ricordano che «a motivo della stessa vocazione i frati sono tutti uguali» (90,1), e chiamati alla corresponsabilità nelle varie espressioni del servizio (90,3.4).

Dall’ambito sociale si menzionano i conflitti incentrati sull’ideologia, la classe, la razza, la religione, la nazionalità (107,2), ma taluni di questi fattori di diversità possono presentarsi anche all’interno dell’Ordine, come quelli relativi alla cultura, alla classe, l’etnia, alla nazionalità. La cultura individuale e nazionale può portare a diversità tra le circoscrizioni su elementi secondari o variabili del carisma (viene menzionato esplicitamente l’uso della barba: 35,2). Perciò, salva la convergenza di tutti i frati sugli elementi fondativi dell’identità cappuccina, viene offerto criterio di riferimento è quello dell’unità nella pluriformità (35,2; 143,1).

Ma infine, per esperienza quotidiana, la degenerazione dei conflitti è dovuta semplicemente alle differenze caratteriali, alle difficoltà di comunicazione e al peccato che abita nel cuore dell’uomo. Il conflitto può investire le persone, ma anche le case e le circoscrizioni (186,5). Pertanto le Costituzioni ricordano che le relazioni fanno perno sui vincoli creati dal battesimo e dalla professione (100,5), e raccomandano uno «spirito di mutua comprensione e di stima sincera» (89,3), per poi indicare la via maestra del dialogo, tanto nella forma interpersonale, fatto di comunicazione di esperienze e delle necessità di ciascuno (89,3; 160,3), quanto nella forma del capitolo locale, «strumento privilegiato per manifestare l’indole e promuovere la crescita della vita nella comunione fraterna» (89,4; 160,3). Il dialogo promuove l’incontro tra le differenze tra le circoscrizioni (100,5). La promozione e l’adozione del dialogo rientra tra i compiti specifici di quanti svolgono un ministero di autorità (160,3; 163,3; 164,3; 166,3). Se ciò non fosse sufficiente, il conflitto va risolto attraverso il diritto (186,5).

Così, a livello sociale l’odio e l’invidia che scaturiscono dalle diversità si affrontano con l’impegno per la giustizia e la pace (107,2). Prima espressione ne è ancora il dialogo con tutti gli uomini (147,4). Il dialogo è altresì la forma di comunicazione con i non credenti (149,6), nonché con i battezzati separati e con i credenti di altre religioni, nella forma dell’ecumenismo e dell’incontro interreligioso (39,1; 149,5.6; 177,3.7; 178,2).

3.2. Guardiamo ora alla relazione nelle sue varie categorie di espressione.

3.2.1. Cominciamo con la relazione tra genitori e figli. Il padre[44] compare come denominazione di san Francesco (5,2; 7,4; 8,1; 21,4; 52,8; 101,1; 188,2), in quanto fondatore e legislatore della fraternità minoritica. La madre viene evocata per la custodia sollecita (10,3), la tenerezza e la premura verso il figlio (92,2), l’una con riguardo alla Chiesa che accoglie i carismi, le altre con riferimento alla cura vicendevole dei fratelli. Si ricorda inoltre che san Francesco chiamava madre sua e di tutti i frati la madre di ogni frate (103,1). La figura della madre è applicata a Maria SS.ma (52,6; 171,2; 181,3; 188,2), alla madre naturale (92,2; 103,1), alla Chiesa (10,3.5; 18,3; 51,1; 183,2), alla Terra (105,2). Reciprocamente, si fa riferimento alla forma del figlio per indicare la relazione con Dio, ma anche con la Chiesa (153,2) e con san Francesco (1,4; 71,4; 147,8; 182,1).

3.2.2. Più ampiamente, è presente la famiglia, «fondata sul matrimonio, Chiesa domestica e cellula vitale della società» (149,4), e legata all’«assoluto del Regno» (173,7). Da un lato, il frate cappuccino riconosce la positività di «buone relazioni con la famiglia di origine» (173,6; OG 2/1), e mantiene i propri doveri «di pietà e di familiarità» (103,1), anche in caso di «bisogni spirituali o materiali» (103,2). Dall’altro lato, egli sa che la sua nuova e vera famiglia è la fraternità, che s’intende come una famiglia radunata da Cristo (5,4; 24,8; 75,1; 94,3; 100,1; 145,2), nell’ambito della più ampia e unica famiglia francescana (10,3; 13,3; 51,1; 72,4; 101,1; 102,1.3; 103,1). Del resto l’intera umanità è chiamata a divenire come un’unica famiglia di figli e di fratelli (13,4; 109,8). La relazione familiare di confidenza e prossimità fa da modello alle relazioni vicendevoli dei frati (168,1) ma anche al rapporto con la Parola di Dio (53,2). Nell’apostolato, occorre prestare attenzione alle famiglie bisognose (149,4).

3.2.3. Tra le figure della relazione è considerata anche l’amicizia, un tratto che deve caratterizzare le relazioni con tutti gli uomini per attrarre al Signore (173,3), un «grande dono» che fa crescere umanamente e spiritualmente, specie se autentica e profonda (172,6), purché sia «liberante e non distruttiva della fraternità» (173,5), come nel caso in cui gli amici vengono sfruttati per aggirare la povertà (69,4).

3.2.4. Una certa importanza è data anche all’ospitalità. Essa adempie al precetto evangelico di Cristo che si identifica col forestiero (Mt 25,35), e si colloca nella scia di san Francesco. L’accoglienza dell’ospite coinvolge i frati i sacerdoti e i religiosi (104,3) ma anche gli afflitti e gli sventurati (104,2), e deve coniugarsi con la semplicità e la prudenza (95,3), la benevolenza e la cortesia (104,2.3)

3.2.5. Non meraviglia che la relazione più presente sia la fraternità.[45]

La fraternità è un sentimento che san Francesco attinge all’adorazione di Dio, Padre e Creatore, ed è dotato di un’estensione universale, in quanto in tutte le creature san Francesco scorgeva l’immagine di Cristo (13,1). Se la fraternità comprende ogni creatura, molto più abbraccia tutti gli uomini senza alcuna discriminazione (13,2). Il disegno stesso di Dio, infatti, è di fare degli uomini una fraternità in Cristo fratello primogenito (50,1; 61,2) mediante il dono dello Spirito (88,2). La fraternità si radica «nel mistero di amore della Trinità perfetta e della santa Unità del Padre, del Figlio e dello Spirito» (88,1), come trabocca nel mistero della creazione e nel mistero della redenzione. La Chiesa stessa è un mistero di comunione che si rispecchia nella vita in fraternità, manifestazione della comunione tra le tre Persone divine (165,2), «spazio umano abitato dalla Trinità» (88,3). La vita condotta in fraternità è così «profezia dell’unità definitiva del popolo di Dio» (88,4), «frutto e segno della forza trasformante del Vangelo e dell’avvento del Regno; a modo di lievito evangelico, essa invita a promuovere autentiche relazioni fraterne tra gli uomini e i popoli, affinché il mondo viva come un’unica famiglia sotto lo sguardo del Creatore» (13,4).

La fraternità è detta la caratteristica essenziale e originaria dell’Ordine fondato da san Francesco (4,2), il quale tale nome volle imporgli (88,5), e con tale nome l’Ordine venne accolto dalla Chiesa (10,3). L’Ordine è pertanto definito in se stesso una fraternità e fraternità sono denominate le sue articolazioni provinciali e locali, come fratelli sono definiti i suoi membri, i quali con tale nome devono chiamarsi senza discriminazione (90.1). Esso costituisce dunque «un Ordine di fratelli» (88,7; 100,1; 123,6). Di conseguenza, è l’esigenza fondamentale della formazione (24,7) e la capacità di viverla è criterio di ammissione all’Ordine (18,3a).

La fraternità è uno «spirito» (43,3.7; 100,3; 141,2), che impregna anche tutta la famiglia francescana (13,3). Essa è un vincolo (160,5), che si traduce in una vita (88,5; 93,3; 94,2; 97,2; 106,3; 141,2; 157,4; 187,2) condotta in comune (88,5; 95), per sfociare nella comunione fraterna (89,4; 96,2; 130,2; 158,6; 165,2.5), così che ogni articolazione della fraternità divenga «una casa e scuola di comunione» (94,4).

L’unità (157,3; 166,2) prodotta dalla fraternità è condizione per discernere la volontà di Dio (158,6; 165,2). Essa si sostanzia nella carità (89,3; 92,1; 98,1; 107,1; 167,2) e nella condivisione dei doni e delle capacità personali, dei beni spirituali e della vita di fede (160,5). Si esprime nelle varie forme del servizio fraterno (172,5): l’aiuto vicendevole a vivere la vocazione (21,4), il conforto da offrire all’ammalato (92,3), la misericordia verso il peccatore (116,1.5), l’accoglienza degli ospiti (98), il ministero dell’autorità (159,3), la collaborazione tra le circoscrizioni (121,4). Neanche la morte può interromperla, in quanto la fede nel Signore risorto «mantiene viva la comunione con i fratelli che riposano nella pace di Cristo» (51,2).

La fraternità produce relazioni caratterizzate da autenticità (147,3), spontaneità (5,4), affetto (101,4), familiarità (168,1), stima reciproca (168,1), serenità e apertura (172,6), il rispetto (103,3).

Tale relazione deve incarnarsi nel concreto di una convivenza in stile di famiglia all’interno di una casa. Essa esige perciò una disciplina giuridica che ne regoli l’erezione, la struttura, la soppressione dei luoghi e delle circoscrizioni (27,3.4; 31,7; 56,2; 76,2; 104,2; 118; 120; 137; 142,1; OG 6/7), ma anche uno stile quotidiano, che esige un orario (49,5), e si traduce in una presenza effettiva non svuotata da eccessive assenze (97,1; 140,1; OG 6/4,2).

La fraternità è un impegno (172,6), che esige la continua rinuncia all’amor proprio e richiede la dedizione agli altri (172,6). Essa annovera tra i suoi strumenti il dialogo (163,3; 166,3), la correzione (113,2), il silenzio (168,1), la riconciliazione (114,4). Al contempo è un dono di grazia che scaturisce dalla condivisione e dall’ascolto della Parola di Dio (53,4) e trova «radice, cardine e cuore» (48,1) nella celebrazione (2,2; 48,2; 52,2) e nell’adorazione (48,4) dell’Eucaristia. In tal modo essa può definirsi una fraternità evangelica (109,3).[46]

La fraternità va espressa anche al di fuori dell’Ordine, verso i membri dell’Ordine Francescano Secolare (102) e gli istituti affini (101,4), e in genere nell’ambito ecclesiale verso quanti vogliono seguire le orme di Cristo sotto la guida di Francesco (102,4.6). In quanto, però, la fraternità è il contenuto stesso e la prima espressione della testimonianza apostolica e missionaria (181,2), essa esprime la sua profezia attraverso la presenza nel mondo (11,3), come «fermento di giustizia, di unione e di pace» (14,5), a contatto con la gente, specialmente il popolo (5,4), i poveri (14,3.4), i sofferenti (108,3), attraverso il servizio e la condivisione (111,6).

Infine, sull’esempio di san Francesco, dal mondo umano la fraternità travalica a un livello universale e cosmico (173,2), fino ad abbracciare tutte le creature (13,2; 105,1).

3.2.6. Fondamento della fraternità è la filialità. In quanto cristiani, nel Figlio di Dio (14,1; 16,3) i frati si riconoscono la dignità e la libertà di figli di Dio (13,2; 88,5; 158,3; 177,6) e confidano nella sua provvidenza paterna (67,1). Lo spirito non dei servi ma dei figli li spinge all’obbedienza a Dio attraverso l’osservanza delle Costituzioni (9,3; 162,2). Anzi, tutta la formazione ha come obbiettivo l’assimilazione dei sentimenti e la configurazione a Gesù il Figlio (23,1). Nella povertà filiale di Gesù si innesta la povertà dei frati (61,2) e sulla preghiera filiale e fraterna di Gesù si ricalca la preghiera dei frati (45,5; 50,1), i quali da figli di Dio celebrano nella liturgia i misteri della salvezza (52,4). La filialità è anche la figura usata per esprimere la relazione con la Chiesa (153,2) e con san Francesco (1,4; 72,4; 147,8; 182,1).

4. Le relazioni interpersonali sono la cifra e la base della relazione che caratterizza l’uomo distinguendolo dalle altre creature, quella con Dio. Nel rispondere a tale chiamata alla relazione, l’uomo perviene a se stesso, in quanto assetato dell’assoluto, cioè di Dio (181,2), e di santità (44,4).[47] Consideriamo ora le possibili modalità di sviluppo di tale relazione.

4.1. L’uomo è presentato in quanto dotato di libertà.[48] Con il dono della libertà attraverso l’obbedienza, l’uomo risponde alla chiamata divina radicata nel battesimo (16,2). Aderendo al piano divino, egli realizza la propria pienezza (158,3). Ne scaturisce la vera libertà, quella evangelica (7,5), la libertà di spirito (45,6; 78,7), interiore (111,3), di cuore (169,5), quella dei figli di Dio (88,5; 158,3; 177,6). Ciò vale, in particolare, per il frate cappuccino, nell’emettere la professione (33,4) e viverla (172,4). La libertà è allora «cammino di obbedienza alla volontà del Padre» (158,1).[49]

4.2. Le Costituzioni prendono però atto della realtà del peccato. Poiché solo Maria, l’Immacolata, ne è stata esente, di fatto esso abita nell’uomo e nella società (105,5; 109,7), e nella stessa fraternità (116,1). È una condizione di «miseria» (152,1), che provoca ferite (105,5) e «schiavitù» (158,1). Va perciò fuggito in quanto «snerva» la vita religiosa (44,3), prevenuto (OG 7/3). Se commesso, deve suscitare dolore (113,1) ma non turbamento (115,4), e affrontato con il perdono (116,2) ma anche con l’assunzione di responsabilità verso le vittime (116,3).

4.3. La forma concreta dell’adesione al Signore è allora la conversione.[50] Essa inizia con la fede e il battesimo, ma poi esige «uno sforzo costante di rinuncia quotidiana» a se stessi (109,2), per giungere alla configurazione con Cristo crocifisso e risuscitato (109,7). San Francesco mostra che la conversione si realizza attraverso la penitenza (16,5) e la misericordia (3,1; 109,4). Essa coinvolge fondamentalmente il cuore (5,2; 81,4), è uno spirito (110,3), ma è una disposizione interiore «che esige manifestazioni esterne nella vita quotidiana» (110,1), e infatti è richiamata continuamente dall’uso dell’abito cappuccino (35,3), ed è sostenuta da alcune pratiche come «la preghiera, il raccoglimento, l’ascolto della Parola di Dio, la mortificazione corporale e il digiuno in fraternità» (111,6). In particolare la croce di Cristo va fatta oggetto di amore (5,3) e di memoria attraverso la mortificazione (112,2). La conversione, oltre che una dimensione individuale, ne ha una ecclesiale (184,3) cioè comunitaria e sociale (113,4; 114,6). In quanto la trasformazione in Cristo è la meta della formazione (23,2.3), la conversione sostanzia la formazione permanente, «continuo ritorno alle fonti della vita cristiana e allo spirito primigenio dell’Ordine, da realizzare in forme adatte ai tempi e alle culture» (41,3), ed è – come per san Francesco (50,2; 106,2) – il contenuto essenziale della predicazione (147,5; 173,2).

5. La grazia di Dio produce nel convertito la vita nuova, che si manifesta nella santità. La santità personale promuove la salvezza del mondo (16,1), e perciò i frati devono esserne «assetati» (44,4) ed esservi decisamente orientati (114,5). La santità è però anche un cammino comune nel quale i frati sono chiamati a sostenersi vicendevolmente (94,4), con un ruolo specifico dei ministri e dei guardiani (161,1.3). Essa si mostra nella pratica delle virtù.

5.1. Esaminiamo lo spazio che nelle Costituzioni ricevono le virtù teologali.

La fede in Dio Padre di tutti produce unità (88,2) e, in obbedienza al suo disegno d’amore (158,2), conduce ad accogliere Cristo con le sue opere e le sue parole, che sono spirito e vita (1,2). Essa segna l’inizio della vita nuova battesimale (109,2) e dona uno sguardo per leggere i segni dell’azione di Dio nella storia (149,1). Ha una dimensione ecclesiale, in quanto la Chiesa è una comunità fondata sulla fede (175,2), ed attraverso la Chiesa da Dio si riceve la fede (182,1). La fede informa poi la vita dei frati e dirige ogni azione (182,1). Con fede salda si emette la professione religiosa (21,4; 22,2), si osservano la Regola e le Costituzioni stesse (186,2), e si accolgono l’Ordine nelle sue manifestazioni storiche (145,3) e le disposizioni di coloro che vi svolgono il servizio dell’autorità (158,7; 165.3). I frati devono sempre più approfondirla (182,1), ma anche donarla per accrescerla (182,3), perciò formarla nei fedeli con la catechesi (150,6), e difenderla anche fino al martirio (147,8).

La speranza è il contenuto del Vangelo annunciato da san Francesco (50,2) ed è sostenuta dalla provvidenza di Dio Padre (108,1) e dalla fede nel Cristo risorto (50,2). Ha per oggetto «i beni eterni» (63,2), «la vita eterna» (182,3), anzi Cristo (189,1), «il Signore Dio» (108,5), «Dio sommamente amato (168,4), e mantiene viva la comunione con i defunti (51,2).

La carità, «che è Dio» (59,1), si è manifestata nel dono di Cristo (109,1), e quindi è anche quella «di Cristo» (38,4; 84,4; 85,3), profusa particolarmente nella passione (60,5; 116,1). Tutta la famiglia umana è chiamata alla comunione nella carità perfetta (109,8), e in ciò si risolve il Regno (168,3). La Chiesa è una comunione di verità e carità (10,1; 117,1), nella quale Dio chiama tutti i battezzati alla carità perfetta (16,1), come i laici appartenenti all’Ordine Francescano Secolare (102,2). Fra i battezzati, alla carità perfetta in modo speciale sono chiamati i frati cappuccini, in quanto religiosi (18,1; 21,4; 33,1.4; 88,5; 89,2). Questi sono chiamati ad esprimerla anzitutto verso Dio (157,1) e, in modo delicato e affettuoso (110,2), verso il prossimo nell’azione pastorale (151,3; 157,1) – in particolare dei frati sacerdoti (152,2) che amministrano la riconciliazione sacramentale (152,2; 153,3) –, verso gli altri battezzati nel dialogo ecumenico (149,5), nella missione (177,1.6), e in genere nei riguardi di tutti gli uomini (61,1; 63,1; 95,5; 106,4; 107,1), specie i poveri (66,2; 69,1; 104,2). La carità deve poi improntare di sé le relazioni fraterne vicendevoli (65,2; 158,5; 168,1). Essa spinge all’obbedienza (100,4; 166,1), disciplina il servizio dell’autorità (159,4; 162,3; 163,2; 186,2), illumina gli studi (38,4), si esprime nel lavoro (79,1; 82,2), muove all’accoglienza degli ospiti (98,1; 99,3) e alla cura verso gli anziani (91,2) e gli ammalati (92,1; 112,3), dirime i conflitti tra i religiosi o tra le circoscrizioni (186,5), regola l’uso della parola (168,2), impone il silenzio a custodia della vita comune (58,1), ispira i suffragi per i defunti (51,2), si combina con la discrezione verso le famiglie di origine (103,3), con la prudenza nell’applicazione delle pene (116,4), l’equità verso i frati che abbandonano l’Ordine (103,4), con la giustizia nell’assunzione della responsabilità verso le vittime dei delitti (O 7/2).

La carità è detta anche col termine equivalente e più generico di amore, come il motore che spinge alla vita cappuccina (61,3; 188,1). L’amore è quello intratrinitario (60,1; 88,1; 169,1; 173,3), è l’amore di Dio il Padre (46,7; 50,4; 60,3; 78,1; 89,1; 114,4; 147,7; 158,2; 162,1; 163,1), di Cristo (2,2; 3,1; 12,2; 19,3; 22,2; 50,2; 52,5; 164,5; 169,1), dello Spirito Santo riversato nei cuori (169,1). L’amore è poi la risposta dell’uomo verso Dio (9,3; 15,5; 16,2; 59,1.2; 80,4; 111,3; 147,8; 158,5; 164,3; 169,1.5; 173,1; 177,1) e la sua bellezza (169,4; 170,2), verso Cristo e la sua croce (3,3; 170,1; 173,6; 177,2; 188,2), e perciò è il respiro della preghiera (45,1), la sovrabbondanza da cui scaturisce la predicazione (150,4). L’amore si estende verso il prossimo (111,3; 147,8; 169,1; 173,1.3), e in specie tra i battezzati, ciò che rende la Chiesa una comunità (175,2). I frati sono chiamati ad esprimere amore verso la Chiesa (10,5) e verso i poveri (14,3), oltre che a scambiarlo in modo vicendevole (12,1.2; 72,2; 88,8; 89,2; 113,2; 116,1; 172,5) e a nutrirlo verso l’Ordine nelle varie articolazioni del suo patrimonio spirituale dell’Ordine (6,1; 7,3; 9,4; 44,3; 178,6). L’amore è comunque visto realisticamente, come una realtà bisognosa di purificazione nella direzione della carità, attraverso una conversione dall’amore «egoistico e possessivo» (172,1) all’amore «oblativo, capace di donarsi agli altri» (172,1), «gratuito e universale» (172,4; 173,3).

5.2. Le Costituzioni danno spazio anche alle virtù cardinali.

La prudenza, in generale, ispira il processo dell’iniziazione (28,3), la comunicazione della malattia all’ammalato (92,4), l’accoglienza degli ospiti (95,1.3), l’assunzione di lavoratori domestici (83,4). In particolare per chi esercita l’autorità la prudenza sovraintende il dialogo con i frati (164,4), l’imposizione di precetti in forza del voto di obbedienza (162,3), l’intervento (insieme alla determinazione) in caso di abusi sessuali (172,7), l’imposizione delle pene canoniche (116,4), la custodia dei documenti nell’archivio segreto OG 8/28), la concessione dei permessi di viaggio (97,3), l’assunzione di parrocchie (154,2). I frati sacerdoti devono usare prudenza nel ministero della riconciliazione sacramentale (152,2).

La giustizia (nel suo significato di equità) è considerata prevalentemente in prospettiva sociale, insieme alla pace (14,5; 63,1; 72,4.5; 107,4; 147,5; 175,4). È presente il richiamo alla giustizia come assunzione di responsabilità verso le vittime dei delitti commessi dai frati (OG 7/2). Essa regola le norme sulle ferie (OG 5/1), l’atteggiamento verso quanto abbandonano l’Ordine (104,3), il rapporto con i collaboratori esterni (83,3). Ne è considerata anche una dimensione più privata, in quanto il «senso di giustizia» caratterizza l’atteggiamento verso le donne (173,4). Compare però anche la valenza biblica, in quanto Cristo è definito colui che si è «fatto per noi sapienza e giustizia» (189,2).

Non è nominata esplicitamente la fortezza, ma è essa che occorre ogni volta che si deve «affrontare la croce e la persecuzione, fino al martirio» (147,8).

La temperanza è considerata esplicitamente in quanto sussidio fondamentale alla capacità di vivere castamente (172,2), include la moderazione e la mortificazione nel cibo e nella bevanda (112,2), e in genere porta ad una vita «semplice e parca in tutto» (112,1).

5.3. Altre virtù specificano la vita nuova del credente espressa attraverso la vocazione francescana. Un posto peculiare occupa la letizia, nella quale si seguono le orme di Cristo, povero umile e crocifisso (2,1), si celebra l’Eucaristia (2,2), si pratica la penitenza (110,1), si partecipa alla missione della Chiesa (16,5), si esercita l’apostolato della vita fraterna (147,2), si chiede l’elemosina (67,4), si cammina nel mondo contemporaneo (108,1).

Rilevante è il ruolo della semplicità.[51] Ribadito che «il primo apostolato del frate minore è vivere nel mondo la vita evangelica in verità, semplicità e letizia» (147,2), tale virtù – collegata al cuore (149,7) – è richiamata per vivere nel mondo il radicalismo delle beatitudini (151,2), seguire la povertà di Cristo (61,1), osservare la Regola (7,2; 155,2). Essa caratterizza tutta la vita dell’Ordine (112,1), e quindi lo stile personale e comunitario (62,2; 65,2), e porta tanto ad accogliere l’Ordine nelle sue talora fragili manifestazioni storiche e istituzionali (145,3) e al conferimento degli uffici nel suo interno (123,2), quanto ad accettare di svolgere i lavori domestici (83,3). La semplicità impronta le celebrazioni liturgiche (21,3), le chiese e le sacrestie (74), i parlatori nelle case (95,3), l’abito alternativo al saio (OG 2/14), e lo stare vicino al popolo con la presenza (149,7), la parola (150,2), l’insegnamento della preghiera al popolo (55,7)

Ancora francescana è la cortesia da esercitare verso gli ospiti (104), verso le donne (173,4), verso i collaboratori esterni (83,4).

7. Dopo aver considerato la struttura dell’uomo e la sua dinamicità attraverso la relazione, consideriamo un altro aspetto di tale dinamicità, quella costituita dalla capacità di modellare l’ambiente e produrre simboli e strumenti. L’uomo è dunque un essere culturale.

7.1. La prima espressione della creatività umana considerata dalle Costituzioni è il lavoro, cui sono dedicati il cap. V della Regola e il cap. V delle Costituzioni. Questo è risposta alla chiamata di Dio a partecipare all’opera della creazione, e mezzo per maturare l’uomo stesso e far crescere la società (78,1), consacrato da Cristo alla dignità di strumento di salvezza (78,2.6), mezzo di sostentamento (78,5) e di servizio (78,7) ma anche mezzo di santificazione (78,6), e perciò «grazia» da accogliere con gratitudine, fedeltà e devozione (78,4).

7.2. La creatività umana va però al di là del lavoro in quanto funzionale al bisogno. La Costituzioni insegnano dunque ad apprezzare la scienza, che esplora la creazione; ma anche la cultura (intesa in quanto coincidente con quella umanistica, filosofica e letteraria), tanto che la Provvidenza può manifestarsi anche nelle correnti di pensiero (108,4); l’arte, che rivela i doni di Dio (106,3) e porta a far conoscere la bellezza di Dio (156,1); i mezzi di comunicazione considerati strumenti di crescita umana e strumenti al servizio del Regno di Dio e dell’evangelizzazione (96,1).

7.3. Compaiono ancora altre espressioni della capacità umana di manipolare la realtà ed elaborare simboli e strumenti per organizzare la propria vita nell’ambiente.

Il cibo (158,3) e la bevanda (112,2), con la loro necessaria assunzione, che è necessaria, senza escludere la mortificazione del gusto e anche l’astensione attraverso il digiuno (112,2).

Il vestito,[52] confezionato a forma di croce, è «richiamo alla conversione, segno della consacrazione a Dio e dell’appartenenza all’Ordine» (35,3), strumento per esprimere la «condizione di frati minori» (35,3) per testimoniare la povertà. Perciò dove l’uso dell’abito dell’Ordine è impossibile, lo sostituiscono abiti semplici (OG 2/14).

La casa compare non solo nel suo senso giuridico di sede di una fraternità dell’Ordine, o ancora nel senso traslato del gruppo di frati che vivono in comune, ma proprio nel senso specifico di luogo abitativo. La casa dei cappuccini deve essere umile e povera, come adatta a pellegrini e forestieri (73,1), coerente col contesto abitativo dei poveri della regione (73,2), senza mai appropriarsene (66,1). In essa si combinano la funzionalità alle esigenze di preghiera, di studio e di intimità dei frati che vi vivono e ai loro impegni di lavoro e di apostolato, da una parte, - e insieme, dall’altra parte, con l’accessibilità a tutti, specialmente gli umili (73,2.3; 95,1). Perciò si distinguono ambienti riservati ai frati da ambienti per accogliere e incontrare gli ospiti (95) La casa richiede cura e manutenzione (83,2; OG 4/9) e servizi quotidiani da parte di tutti (90,4). La casa è simbolo di ogni frate, chiamato ad essere dimora della Trinità (59,3), e di ogni fraternità locale, intesa come «casa e scuola della comunione» (94,4).

Compare ancora il denaro,[53] a proposito del quale si offre un’accurata disciplina (68-70; 73,4; 76,1; 85,3; OG 4/3.4), allo scopo di evitarne l’accumulo e renderlo un strumento di condivisione.

8. L’uomo è collocato da Dio all’interno di un ambiente più vasto, quello della creazione. La visione del cosmo presentata dalle Costituzioni si appoggia su basi bibliche e francescane.[54] Infatti Dio Padre ha fatto ogni cosa con sapienza e amore (78,1), e ha seminato cose buone e belle non solo nel cuore dell’uomo ma anche nell’armonia del creato (156,1). Anzi, in ogni creatura è impressa l’immagine di Cristo primogenito e salvatore (13,1). Perciò, a contemplarle attraverso la scienza, le opere della creazione appaiono «grandiose, meravigliose e misteriose» e conducono all’adorazione di Dio (106,3). In risposta l’uomo è chiamato ad andare incontro con spirito fraterno a tutte le creature e ad offrire a Dio la lode di tutta la creazione (13,2).[55]

9. Lo spazio della creazione è altresì il luogo del tempo. Questo è considerato nella sua dimensione cronologica, come un «dono prezioso» (87,2), da non sciupare nella sua irripetibilità, e da gestire con la programmazione e l’organizzazione (87,3). Scandisce le fasi della formazione del frate, i ministeri, e semplicemente tutta la sua vita (21,4). Esso è una risorsa da dedicare alla preghiera e alla cura spirituale (15,3; 53,3; 55,2.3; 56,2; 57,3; 161,1), alla formazione (26; 34; 82,3), alla vita fraterna (94,3), all’apostolato (15,3), ma anche al riposo e alla cura di sé (86). Del tempo si coglie però anche la prospettiva cairologica – e così esso diventa storia.[56] Dio, infatti, Dio nel tempo viene incontro all’uomo e fa crescere verso la pienezza della salvezza (87,4), e fa conoscere se stesso e la sua provvidenza attraverso i segni dei tempi (87,4) e le esperienze di vita (108,4).

L’«irripetibilità di ogni istante e delle occasioni favorevoli» (87,2) spinge allora a vivere in modo intenso e responsabile, e fa del tempo il luogo del discernimento, della vigilanza e della pazienza (87,4).

10. Il presente è comunque anche legato a preoccupazioni talora vane, dalle quali occorre affrancarsi (108,2), orientandosi alla escatologia. La fede nel Cristo risorto sostiene la speranza (51,2) della vita eterna (182,3), dei beni eterni (63,2), delle cose eterne (189,1), cioè di Dio stesso, del Padre e del Figlio e dello Spirito coeterni (189,3). La liturgia è associazione all’eterno canto di lode dell’Agnello (49,2; 189,3), e in particolare l’Eucaristia è celebrata in attesa della domenica senza tramonto che introdurrà l’uomo «nel riposo di Dio» (52,2). La stessa fraternità è segnata dall’escatologia, in quanto «offre un particolare annuncio della vita futura, nella quale i risorti sono fratelli fra loro davanti a Dio, che sarà per loro tutto in tutti» (169,6).

In attesa dell’ultimo giorno, rimane viva la comunione con i defunti, nello stato intermedio, attraverso lo scambio dei doni spirituali e delle preghiere (51,2).

3.4. La Madre del Signore e i santi

L’escatologia ci porta a fissare finalmente lo sguardo sulla Madre del Signore.[57]

La Madonna è considerata in vari aspetti della sua storia terrena. Ella è la sposa di san Giuseppe (52,7), e insieme «esempio sublime di perfetta consacrazione a Dio e di amore per la divina bellezza» (170,2) e porta nel cuore le «parole che salvano» (1,5). Ha generato Cristo, luce e salvezza di tutte le genti (181,3), ed è altresì «partecipe della povertà e della passione del Figlio suo» (52,6) e anzi «via per raggiungere lo spirito di Cristo povero e crocifisso» (52,6). Dopo la risurrezione, il mattino di Pentecoste, sotto l’azione dello Spirito Santo presiede in preghiera l’inizio dell’evangelizzazione (181,3).

I titoli con cui viene predicata sono di derivazione biblica, magisteriale, liturgica e devozionale. Maria è riconosciuta Immacolata (21,4; 52,6; 170,2), e perciò «tota pulchra» (170,2), «beata» (1,5; 111,5; 170,2; 181,3). È madre di Cristo (171,2; 181,3), e perciò madre del Buon Pastore (181,3) ma anche Madre di Dio (52,6; 188,2), e più articolatamente «figlia e serva del Padre, madre del Figlio e sposa dello Spirito Santo» (52,6). Inoltre Maria è riconosciuta Vergine (1,5; 52,6.7; 111,5; 170,2; 171,2; 181,3), anzi «Vergine fatta Chiesa» (52,6).

Con particolare riguardo all’Ordine, Maria è detta «madre, avvocata, patrona» (52,6; cf 188,2), esempio che guida nella professione dei voti (21,4), aiuta ad osservare le Costituzioni (188,2), con uno speciale sostegno riguardo alla castità (170,2). Ella va dunque venerata «con singolare devozione, specialmente con il culto liturgico, l’Angelus e il rosario» (52,6), coltivando con lei «un intenso rapporto e un’intima unione» (170,2), preparando con il digiuno la solennità della sua Immacolata Concezione (111,5), promuovendone la devozione anche presso il popolo (52,6).

Altre figure di santità vengono convocate dalle pagine delle Costituzioni. San Giuseppe è proclamato «sposo fedele della Vergine Maria, custode del Redentore e umile lavoratore» (52,7). Marta e Maria di Betania sono presentate sono presentate come esempio di composizione armonica tra contemplazione e azione (15,4). In generale di tutti i santi si riconosce l’efficace patrocinio e la fruttuosità della devozione (21,4; 52,6.8).

È ovvio che nella schiera dei santi venga riconosciuto un posto unico a san Francesco, e anche a santa Chiara (52,8; 101,3; 173,4) e ai santi cappuccini (7,2; 52,8; 110,2; 112,2; 177,2; 187,1), ma un tale esame andrebbe compiuto in un’opportuna distinta indagine sulla presenza di san Francesco e della spiritualità francescana nelle Costituzioni.[58]

4. Le Costituzioni della Chiesa (e della teologia) postconciliare

Portiamo ora a termine questo primo esame sulle Costituzioni cappuccine nella loro forma attuale, e offriamo alcune valutazioni conclusive.

1. In primo luogo, le Costituzioni sono piena espressione della Chiesa del Vaticano II, tanto della fonte conciliare quanto degli sviluppi postconciliare. Infatti, oltre alle fonti bibliche e liturgiche (che andrebbero studiate in modo specifico), nelle Costituzioni sono ininterrotte le citazioni dei documenti del Vaticano II. [59] Numerosi sono ancora i riferimenti al magistero dei papi Paolo VI,[60] Giovanni Paolo II (1996),[61] e Benedetto XVI.[62] Compaiono ancora i documenti legati al Sinodo dei Vescovi e delle Congregazioni. Esigua è la presenza del Catechismo della Chiesa Cattolica mentre continui sono i contatti del testo con il Codice di diritto canonico.

2. Tuttavia certamente il maggiore nuovo apporto al testo attuale delle Costituzioni viene dall’Esortazione postsinodale Vita consecrata. Principalmente a questa sorgente si devono collegare le due integrazioni più significative.

L’una è lo spazio certamente più conveniente assicurato al mistero di Dio Trinità. Certo, esso era già presente nelle Costituzioni anteriori,[63] ma nelle attuali trova giusta e ampia valorizzazione, come abbiamo esposto nelle pagine anteriori (§ 3.1). La Trinità è presente tanto nella sua dimensione immanente quanto nell’impegno storico-salvifico, e alla sorgente dell’amore trinitario le Costituzioni collegano la Chiesa (10,1), l’esperienza di san Francesco (2,1), la vocazione (16,3) e l’Ordine nei suoi vari aspetti: la professione (33), i voti di povertà (60,1) e obbedienza (158) e castità (169), la formazione (23,1), la vita fraterna (88,1), la preghiera (45), il governo (117,1), il lavoro (78,1-3), l’apostolato (146). L’opera compiuta in tale ambito è notevole, e, per quanto ancora perfettibile, molto soddisafcente.

L’altra importante integrazione è l’introduzione della via pulchritudinis. Dio, con parole bonaventuriane, è «Colui che è bellissimo» (156,1) e la sua bellezza si riflette nella bellezza delle cose create (156,1), in modo eminente nella Madonna, la Tota Pulchra, «esempio sublime di amore per la divina bellezza» (170,2). Nella linea dell’Esortazione Vita consecrata (19), altresì la vita nella castità consacrata è vista come «irradiazione della divina bellezza» (169,3), per l’azione dello Spirito Santo che suscita l’amore per la divina bellezza (169,4). La bellezza di Dio è la sola che può «appagare totalmente il cuore dell’uomo» (170,2) colma di stupore san Francesco (60,5; 173,2), e lo spinge a invitare tutte le creature a lodare e magnificare il Signore (156,1). In questo solco, i frati sono impegnati a farla conoscere «con la parola, gli scritti, e anche con espressioni artistiche cristianamente ispirate» (156,1). Il tema è concentrato solo nei soli cinque paragrafi indicati, e potrebbe ricevere un utilizzo più diffuso ed una migliore articolazione trinitaria.

3. L’altra grande sorgente delle Costituzioni è ovviamente quella del patrimonio francescano. Per citazione letterale o anche solo per allusione, vi compaiono san Francesco e anche santa Chiara attraverso i loro scritti e le biografie originarie. Frequentissime sono le citazioni delle Regole non bollata e bollata, da cui le Costituzioni riprendono l’organizzazione dei dodici capitoli, e importante è il posto del Testamento.

Compaiono, per cenni, anche le fonti primordiali degli Statuti di Albacina e delle Costituzioni del 1536 (ma anche altre edizioni successive). Compaiono le relazioni e le lettere dei ministri generali P. Rywalski, F. Carraro, J. Corriveau, M. Jöhri e le proposizioni dei sette Consigli Plenari.

Ora, ad uno sguardo complessivo, quella delle Costituzioni si presenta come una teologia composita, proveniente cioè da una molteplicità di fonti e formata dalla ricezione di una theologia communis, quella ancorata alle fonti bibliche, liturgiche e magisteriali. Per sottrarla al pericolo di genericità, sarebbe importante favorirne sempre più la francescanizzazione.

Tra le fonti delle origini, imprescindibili, e quelle più recenti, legate alla contemporaneità e talvolta occasionate da problematiche contingenti, converrebbe allora inserire – almeno nel momento dell’interpretazione e dell’assimilazione –anche i grandi riferimenti tanto, in genere, della teologia francescana, quanto, in particolare, dei Cappuccini. Lo strumento adeguato potrebbe essere un progetto di approfondimenti tematici e storici, finalizzati a fare pervenire alla generazione odierna dei frati il tesoro plurisecolare della sua teologia e della sua spiritualità.

Oltre ad ascoltare in modo più ampio delle voci francescane, converrebbe ancora sottrarre alla frammentazione i temi dell’antropologia, leggendo anche questi in chiave francescana. Stavolta lo strumento potrebbe essere l’elaborazione di un’adeguata Ratio formationis, che accompagni il frate in tutto il suo itinerario di battezzato e consacrato, assicurando che la sapienza del Vangelo si traduca anche in una adeguata maturità umana.[64]

4. Rispetto alla permanenza attraverso i secoli delle prime Costituzioni, potrebbe sembrare che le Costituzioni postconciliari fino alla versione vigente abbiano avuto un percorso troppo fluido.

Ma, da una parte, per ampiezza e potenza, il rinnovamento messo in moto dal Vaticano II trova un precedente solo nel Concilio di Trento, nella cui temperie appunto i Cappuccini hanno incominciato il proprio cammino. La piena assimilazione dell’evento conciliare, con la sua dinamica di ritorno alle origini e di aggiornamento, e poi di tutte le sue ondate successive, ha avuto bisogno un impegno distribuito nel tempo. Né il compito può dirsi finito, poiché nella sensibilità dell’Ordine va inglobato anche il momento di papa Francesco, cominciato dopo la redazione delle Costituzioni, ma che non può non incidere sul cammino dell’Ordine.[65]

Dall’altra parte, il mondo contemporaneo cambia velocemente e continuamente, provocando la Chiesa e in essa l’Ordine a frequenti riflessioni, e così sarà per il futuro. Occorrerà allora un atteggiamento mentalmente elastico, che, senza cambiare troppo spesso l’impianto delle Costituzioni, sappia però leggere in segni dei tempi ed elaborare il cammino dell’Ordine in una società globalizzata, complessa e in continua trasformazione.

In tal modo, agganciate alle loro radici storiche e al percorso della tradizione dell’Ordine, approfondite nelle colonne portanti della loro teologia rimaste sostanzialmente immutate nei secoli, sostenute ed integrate da strumenti di attualizzazione che le inculturino nei momenti storici e nelle regioni geografiche, le Costituzioni continueranno ad essere ciò che sono da quasi cinquecento anni: un codice di spiritualità e di formazione che ha accompagnato una schiera innumerevole e luminosa di fratelli alla pienezza della santità, il primo veicolo di trasmissione e di condivisione del carisma, e quindi di comunione nell’Ordine.

SOMMARIO

Le Costituzioni Cappuccine approvate dalla Santa Sede nel 2013 segnano il culmine del cammino di rinnovamento dell’Ordine, nella Chiesa conciliare e post-conciliare. abbraccia tutti i temi della teologia. Senza essere un trattato, nondimeno il testo abbraccia in diversa misura tutti i temi della dommatica. Se ne presentano le asserzioni in ambito trinitario, ecclesiologico e antropologico. Legato al mandato di rispettare e arricchire l’edizione precedente, il testo costituzionale attuale si presenta notevolmente arricchito soprattutto per un più deciso triadocentrismo, con l’emergere in particolare del legame tra mistero trinitario e vita consacrata e con l’adozione della via pulchritudinis.



[1] Per l’intero processo di preparazione, presentazione, elaborazione, approvazione del testo cf C. Calloni (ed.), Atti dell’84° Capitolo generale, 3 voll., Curia generale OFMCap, Roma 2012. Cf F. Cangelosi, Relazione generale, ivi, II, 657-708.

[2] Il percorso fino al capitolo del 2006 si può ricostruire attraverso C. Cargnoni, Bibliografia sul rinnovamento legislativo dell’Ordine cappuccino (1964-2006), accessibile nel sito www.ofmcap.org.

[3] Per un primo approccio alle Ordinazioni di Albacina cf. F. Elizondo, «Las constituciones capuchinas de 1529. En el 450 aniversario de su redacción en Albacina», in Laurentianum 20(1979), 421-434; F. Acrocca, «L’influsso degli Spirituali sulle costituzioni di Albacina», in V. Criscuolo (ed.), Ludovico da Fossombrone e l’ordine dei Cappuccini (Bibliotheca seraphico-capuccina. 44), Istituto storico dei Cappuccini, Roma 1994, 271-306.

[4] Il testo in edizione critica è stato pubblicato in Le prime Costituzioni dei Frati Minori Cappuccini, a c. di F.A. Catalano – C. Cargnoni – G. Santarelli, L’Italia Francescana, Roma 1982, 170-204; I Frati Cappuccini. Documenti e testimonianze del primo secolo, a c. di C. Cargnoni, I, EFI, Perugia 1988, 253-464; I Frati Cappuccini. Fonti documentarie e narrative del primo secolo (1525-1619), a c. di V. Criscuolo, Curia generale OFMCap, Roma 1994, 163-244. I successivi sviluppi delle Costituzioni si compiono negli anni 1552, 1575, 1608, 1643, 1909, 1925, il cui testo è nei due volumi Constitutiones Antiquae (1529-1643), Curia generale OFMCap, Roma 1980, e Constitutiones Recentiores (1909-1925), Curia generale OFMCap, Roma 1986. F. Elizondo, «Las Constituciones Capuchinas de 1536», in Estudios Franciscanos 83(1982), 143-252; Id., «Estructura y lenguaje de las Constituciones capuchinas de 1536», in Laurentianum 24(1983), 283-296; Id., «Constituciones Capuchinas de 1575 en torno a un centenario» in Laurentianum 16 (1975), 1-52; Id., «Contenido de las Constituciones Capuchinas de 1575 y su relación con la legislación precedente», in Laurentianum 16(1975), 225-280; Id., «Las Constituciones Capuchinas de 1608», in Laurentianum 17(1976), 153-208; Id., «Las constituciones capuchinas de 1638», in Laurentianum 17(1976), 313-387. Cf anche M.-A. de Lauzon, Conférences spirituelles sur les constitutions des Frères Mineurs Capucins, 3 voll., Curia generale OFMCap, Roma 1959-1961.

[5] Cf F. Cangelosi, Relazione generale, cit., 686-688.

[6] Per un approccio globale alle Costituzioni del 1968 cf. A. de Sobradillo, «Las nuevas constituciones de la Orden capuchina», in Estudios Franciscanos 72(1971), 165-188; Id., «Las nuevas constituciones de la Orden capuchina (Continuación)», in Estudios Franciscanos 73(1972), 173-215; L. Iriarte, I cappuccini si rinnovano: riflessioni sulle nuove costituzioni, Editrice Francescana, Torino 1970; Id., Le Costituzioni Cappuccine rinnovate (Sussidi formazione permanente. 4), CISPCap, Roma 1978; Id., Le Costituzioni Cappuccine rinnovate: lettura a dieci anni di «esperimento» (Sussidi formazione permanente. 4/2), CISPCap, Roma 1978. Su alcuni aspetti particolari cf M. Erburu, «Valor moral de las nuevas Constituciones Capuchinas», in Laurentianum 10(1969), 79-91; S. Ara, «La renovación acomodata de la formación para la vida religiosa capuchina», in Laurentianum 10(1969), 142-172; O. Schmucki, «La nostra vita di preghiera: note sul capitolo III delle Costituzioni dei Frati Minori Cappuccini», in L’Italia Francescana 56(1981), 109-136.

Sulle Costituzioni del 1986 cf C. Rizzatti, Riflessioni sulle Costituzioni dei Frati Minori Cappuccini (Sussidi per lo studio delle Costituzioni. 1), Curia Generale OFMCap, Roma 1990; Conferencia de Superiores Mayores Capuchinos de Venezuela, Equador, Colombia, Guide di studio per le Costituzioni dei Frati Minori Cappuccini (Sussidi per lo studio delle Costituzioni. 2), Curia Generale OFMCap, Roma 1990; L. Iriarte, «Le nuove costituzioni dei Frati Minori Cappuccini: tra creatività ed istituzione, tra fedeltà e rinnovamento», in Laurentianum 35(1994), 491-515; T. Ricci, Il patrimonio spirituale delle Costituzioni dei Frati Minori Cappuccini (Sussidi per lo studio delle Costituzioni. 3), Curia Generale OFMCap, Roma 1991; S. Ara, El patrimonio espiritual de los Capuchinos: comentario a los capitulos V, VI, XI, IV y X de las Constituciones de Capuchinos (Colección OPI), Curia Provincial de Capuchinos, Pamplona 1996; M.-A. Peña González, «Dimensión espiritual de las constituciones renovadas de los hermanos menores capuchinos», in Naturaleza y gracia 44(1997), 415-452; Id., «Identidad del capuchino, como hermano menor a la luz de las constituciones de 1990», in Naturaleza y gracia 47(2000), 7-195.

[7] Cf G. Canobbio – P. Coda (edd.), Teologia del XX secolo. Un bilancio, 3 voll., Città Nuova, Roma 2003; Ch. Theobald, «Il divenire della teologia cattolica dopo il Concilio Vaticano II», in Storia del cristianesimo. Religione, politica, cultura, XII: Crisi e rinnovamento: dal 1958 ai giorni nostri, a c. di A. Riccardi, Borla, Roma 2004, 161-204.

[8] L’esempio monumentale è costituito dai volumi del Mysterium salutis, curati da J. Feiner e M. Löhrer, col sottotitolo Nuovo corso di dogmatica come teologia della storia della salvezza, a partire dal 1965. Un’applicazione più recente è in R. Fisichella – G. Pozzo – G. Lafont, La teologia tra rivelazione e storia. Introduzione alla teologia sistematica (Corso di teologia sistematica. 1), EDB, Bologna 1996. Cf G. Pasquale, La storia della salvezza. Dio Signore del tempo e della storia (Diaconia alla verità. 11), Paoline, Milano 2002.

[9] Rimandiamo agli studi di G. Lafont, Peut-on connaître Dieu en Jésus-Christ? Problematique (Cogitatio fidei. 44), Cerf, Paris 1969; «Breve saggio sui fondamenti della cristologia», in R. Fisichella (ed.), Gesù Rivelatore. Teologia Fondamentale, Piemme, Casale M. (AL) 1988, 120-139; Dio, il tempo e l’essere, Piemme, Casale M. (AL) 1992.

[10] Sul recupero della centralità della Pasqua nella fede cristiana cf R. Cantalamessa, La Pasqua della nostra salvezza. Le tradizioni pasquali della Bibbia e della Chiesa primitiva, Marietti 1820, Torino 22007, e anche Pasqua: un passaggio a ciò che non passa, San Paolo, Cinisello B. (MI) 22008. Riguardo al ruolo di baricentro della Pasqua nella rivelazione e nella teologia, il punto di partenza può essere quello di H. U. von Balthasar e del suo saggio in Misterium Salutis (1967), accessibile anche autonomamente come Teologia dei tre giorni. Mysterium paschale (Biblioteca di teologia contemporanea, 61), Querinana, Brescia 82011. Cf In generale cf M. Gonzalez. Il ricentramento pasquale-trinitario della teologia sistematica nel XX secolo, in P. Coda (ed.), La Trinità e il pensare. Figure, percorsi, prospettive, Città Nuova, Roma 1997, 331-371.

[11] Il riferimento è al contributo di Karl Rahner nel Mysterium Salutis (1967), poi ripubblicato autonomamente come La Trinità (Biblioteca di teologia contemporanea, 102), Queriniana, Brescia 42008. Per un riepilogo recente cf Commissione Teologica Internazionale, Dio Trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza, in La Civiltà Cattolica 164(2014/1), 157-212.

[12] Cf T. Goffi, Etica cristiana trinitaria, EDB, Bologna 1995 e Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale (2009), in Civiltà Cattolica 160(2009/2), 319-426.

[13] Pietra miliare è l’operetta di Klaus Hemmerle Tesi di ontologia trinitaria. Per un rinnovamento della filosofia cristiana, Città Nuova, Roma 1986. Dello stesso A. cf anche Partire dall’unità. La Trinità come stile di vita e forma di pensiero (Contributi di teologia. 24), Città Nuova, Roma 1998.

[14] Radicata già nel Vaticano II, essa viene sviluppata nel Sinodo del 1985, precisata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede con la Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione (1992) e portata a compimento da Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte (2000). Cf. Commissione Teologica Internazionale, Temi scelti d’ecclesiologia in occasione del XX anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II (1984): EV ; J. Ratzinger, L’ecclesiologia della costituzione "Lumen gentium” , in R. Fisichella (ed.), Il Concilio Vaticano II. Recezione e attualità alla luce del Giubileo, San Paolo, Cinisello B. 2000, 68-81.

[15] È l’impostazione del Vaticano II, particolarmente nella Gaudium et spes. Cf L. Ladaria, L’uomo alla luce di Cristo nel Vaticano II, in L.F. Ladaria - R. Latourelle (edd.), Vaticano II. Venticinque anni dopo (1962-1987), Cittadella, Assisi 1987, 939-951.

[16] Cf Commissione Teologica Internazionale, Desiderio e conoscenza di Dio. Teologia – Cristologia – Antropologia (1982), EV 19/1164-1169; Id., Comunione e servizio. La persona umana creata a immagine di Dio (2004): EV 22/2870-2964. Cf P. Coda, «Sul concetto e il luogo di un’antropologia trinitaria», in Id. – L. Žák (edd.), Abitando la Trinità (Collana di teologia. 35), Città Nuova, Roma 1998, 123-136.

[17] Della necessità di approcci pastorali diversificati in base ad es. al territorio, sono una espressione i sinodi speciali con le esortazioni post sinodali, tutte emanate da Giovanni Paolo II: Ecclesia in Africa (1995); Ecclesia in America (1999); Ecclesia in Asia (1999); Ecclesia in Oceania (2001), 51-52; Ecclesia in Europa (2003). A specifici approcci pastorali deve servire una teologia inculturata. Su tali prospettive cf Commissione Teologica Internazionale, Fede e inculturazione (1989): EV 11/1347-1424; Id., Cristianesimo e religioni (1997): EV 15/986-1113; Id., La teologia oggi. Prospettive, princìpi e criteri (2011), in La Civiltà Cattolica 162(2012/2), 44-94.

[18] Oltre al testo dell’Esortazione (EV 15/434-775), è utile consultare i Lineamenta del Sinodo (1992), in Enchiridion del Sinodo dei Vescovi, II, EDB, Bologna 2006, 4374-4449, e l’Instrumentum laboris (1994), ivi, 4450-4625. Incisivi sulla teologia della vita consacrata e sulle Costituzioni sono anche i documenti della Congregazione competente: Mutuae Relationes (1978): EV 6/586-717; Religiosi e promozione umana (1980): EV 7, 436-504; Dimensione contemplativa della vita religiosa (1980): EV 7/505-541; La vita religiosa nell’insegnamento della Chiesa. I suoi elementi essenziali negli Istituti dediti alle opere di apostolato (1983): EV ; Direttive sulla formazione negli istituti religiosi (1990): EV 12/1-139; La vita fraterna in comunità (1994): EV 14/345-537; La collaborazione inter-istituti per la formazione (1998): EV 17/1806-1895; Ripartire da Cristo. Un rinnovato impegno della vita consacrata per il terzo millennio (2002): EV 21/372-510; Il servizio dell'autorità e l'obbedienza (2008), LEV, Città del Vaticano 2008. Per l’impatto sul mondo francescano cf P. Martinelli (ed.), Il rinnovamento della vita consacrata e la famiglia francescana, EDB, Bologna 2007.

[19] Sulla visione sanfrancescana di Dio cf C. Dallari, «Francesco d’Assisi, un tratto dimenticato: il “teologo”», in G. Ravaglia (ed.), La sapienza della Parola, Inchiostri Associati, Bologna 2000, 149-165; T. Matura, Francesco parla di Dio, Biblioteca francescana, Milano 1992, 1-63.93-98.

[20] Sulla cristologia francescana N. Nguyen-Van-Khanh, Gesù Cristo nel pensiero di san Francesco secondo i suoi Scritti, Biblioteca Francescana, Milano 1984; G. Iammarrone, Cristologia francescana. Impulsi per il presente, Messaggero, Padova 1997; C. Vaiani, Vedere e credere. L’esperienza cristiana di Francesco d’Assisi, Glossa, Milano 2000; F. Acrocca «Cristo e la sua croce nell’esperienza di San Francesco d’Assisi», in Ricerche Teologiche 18(2007), 207-226. Sulla cristologia delle Costituzioni cf O. van Asseldonk, «La Persona di Cristo nelle prime (e ultime) costituzioni», in L’Italia Francescana 53(1978), 667-679; F. Elizondo, «Cristo y San Francisco en la constituciones capuchinas de 1536», in Laurentianum 24(1983), 76-115; M. Darpetti, «Le nuove Costituzioni cappuccine e il volto di Cristo», in G. Fiorini (ed.), L’unico Salvatore. Teologia e grazia, Viterbo 1998, 151-158.

[21] Per la pneumatologia francescana cf M. Melone, «Presso Dio non vi è preferenza di persone, e lo Spirito santo, ministro generale dell’Ordine, si posa egualmente sul povero e sul semplice (2Cel 193)», in P. Martinelli (ed.), Autorità e obbedienza nella vita consacrata e nella famiglia francescana, EDB, Bologna 2008, 109-124; Id., «Donum in quo omnia alia donantur. Aspetti di teologia dello Spirito Santo in Bonaventura da Bagnoregio», in Ricerche teologiche 17(2006), 51-75; Id., «Spirito Santo», in Dizionario Bonaventuriano, a cura di E. Caroli, EMP, Padova, 2008, 761-771. Con riferimento alla consacrazione religiosa, cf Y. Spiteris, «Lo Spirito come fonte di animazione e rinnovamento della vita consacrata», in P. Vanzan – F. Volpi (edd.), Lo Spirito Santo e la vita consacrata, Il Calamo, Roma 1999, 163-174; P. Martinelli, «L’animazione dello Spirito in Cristo e nella vita consacrata», ivi, 283-296.

[22] In generale per l’ambito francescano cf F. Accrocca, «La Trinità negli scritti di san Francesco d’Assisi», in G. Cipollone (ed.), La liberazione dei ‘captivi’ tra cristianità e Islam, LEV, Città del Vaticano 2000, 419-437; M. Melone, «“Crediamo e amiamo… l’altissimo e sommo e eterno Dio, trino e uno” (RnB 23,11). La dimensione trinitaria della spiritualità di Francesco d’Assisi», in P. Martinelli (ed.), La grazia delle origini, EDB, Bologna, 2009, 235-259. Per lo specifico cappuccino cf F. Neri, «Il mistero trinitario nelle Costituzioni dei Cappuccini», in Italia Francescana 81(2008), 265-282.

[23] Sull’ecclesiologia delle Costituzioni cf R. Armstrong, «The ecclesial vision of the Capuchin Constitutions of 1982», in Laurentianum 25(1984), 152-180; D. Spatola, Autocoscienza ecclesiologica nelle costituzioni dei Frati Minori Cappuccini: analisi e prospettiva, Facoltà Teologica di Sicilia, Palermo 2004; W. Henn, Le attuali Costituzioni dei Frati Minori cappuccini alla luce dei recenti insegnamenti del magistero nell’area dell’ecclesiologia, accessibile in www.ofmcap.org. Cf inoltre P. Martinelli, «Ecclesialità della vita religiosa: un valore fondamentale per i francescani», in Id. (ed.), Il rinnovamento della vita consacrata e la famiglia francescana, EDB, Bologna 2007, 73-97.

[24] Cf P. Martinelli., «Il posto della vita consacrata in una Chiesa tutta missionaria», in Religiosi in Italia 8(2003), 201-210.

[25] Cf P. Martinelli, «Sulla “essenzialità” (o “necessità”) della vita consacrata nella Chiesa per il mondo. Note per una ricerca che continua», in Religiosi in Italia 10(2005), 32-46.

[26] Cf Aa.Vv., Parola di Dio e Francesco d’Assisi, Cittadella, Assisi 1982; G. Cardaropoli - M. Conti (edd.), Lettura biblico-teologica delle fonti francescane, Antonianum, Roma 1979; A. Drago, «Parola di Dio», in Dizionario francescano, Messaggero, Padova 21995, 1354-1370; D. Dozzi, Il Vangelo nella Regola non bollata di Francesco d’Assisi, Ist. Storico dei Cappuccini, Roma 1989; Id., «Così dice il Signore». Il Vangelo negli Scritti di San Francesco, EDB, Bologna 2000; S. Bovis, Francesco e la Parola. La rivelazione della Parola nell’esperienza vocazionale di S. Francesco e dei primi Compagni, Porziuncola, Assisi 1999; L. Iriarte, Vocazione francescana, EDB, Bologna 62006, spec. 43-53; Th. Matura, «La Parole de Dieu dans les Écrits de François», in «Verba Domini Mei». Gli Opuscula di Francesco d’Assisi a 25 anni dalla edizione di K. Esser, Antonianum, Roma 2003, 211-219; C. Vaiani, Vedere e credere. L’esperienza cristiana di Francesco d’Assisi, Glossa, Milano 32007, spec. 51-63; P. Martinelli (ed.), Parola di Dio, vita spirituale e francescanesimo, EDB, Bologna 2008. Per lo specifico dei Cappuccini, cf F. Raurell, I Cappuccini e lo studio della Bibbia, Istituto Francescano di Spiritualità – Facultat de Teologia de Catalunya, Roma – Barcelona, 1997.

[27] Cf U. Occhialini, «Lectio divina monastica e spiritualità biblica di san Francesco», in Aa.Vv., Parola di Dio e Francesco d’Assisi, Cittadella, Assisi 1982, 42-63; T. Lorenzin, «La lectio divina in san Francesco d’Assisi e in sant’Antonio di Padova», in G. Cappelletto (ed.), «Insegnava fra loro la Parola», Messaggero, Padova 2000, 293-309; N. Dell’Agli, «Una via francescana alla Lectio divina», in Italia Francescana 80(2005), 261-276.

[28] O. Schmucki, Preghiera liturgica secondo l’esempio e l’insegnamento di san Francesco, CISPCap, Roma 1979; F. Rampazzo, «Lineamenti di liturgia francescana. Indagine storica sullo sviluppo del Santorale francescano», in Laurentianum 40(1999), 501-518; Id., «La spiritualità liturgica francescana. Indagine sulle fonti e sullo spirito dell’Ordine», in Italia Francescana 75(2000), 71-86.

[29] Cf K. Esser, «La dottrina eucaristica di san Francesco», in Id., Temi spirituali, Biblioteca Francescana, Milano 1973, 321-284; 207-253; R. Falsini, «Eucaristia», in Dizionario Francescano, 611-639; L. Lehmann – P. Martinelli – P. Messa, Eucaristia, vita spirituale e francescanesimo, EDB, Bologna 2006; F. Neri, «L’Eucaristia nell’esperienza cristiana di san Francesco d’Assisi», in L. Bianchi (ed.), L’Eucaristia nella tradizione orientale e occidentale, Venezia 2007, 157-176.

[30] Sulla visione francescana del sacerdozio cf F. Neri, «Miei signori, figli e fratelli». San Francesco d’Assisi e i sacerdoti, EDB, Bologna 2010.

[31] La facoltà di amministrare questo sacramento viene conferita ai frati sacerdoti dall’ordinario del luogo e dall’ordinario religioso, nonché – ad modum actus – dal guardiano (115,1), e abilita a ricevere la confessione dei frati in qualunque parte del mondo (115,2).

[32] Sembra dunque che la visione sottesa sia quella della “estrema unzione”. Sarebbe più aggiornato collegare il sacramento alla sua natura di sostegno ad affrontare cristianamente la prova della malattia grave.

[33] Altrove è anche detta «un bene per la Chiesa» (17,1), e «speciale dono di Dio nella vita della Chiesa» (33,5).

[34] Cf G. Pasquale, La natura escatologica della vita consacrata, in «Credere Oggi» 28(2008/3), 77-91.

[35] Cf J.A. Merino, Umanesimo francescano. Francescanesimo e mondo attuale, Cittadella, Assisi 1984; G. Gniecki, Visione dell’uomo negli scritti di Francesco d’Assisi, Antonianum, Roma 1987; R. Zavalloni, L’uomo e il suo destino nel pensiero francescano, Porziuncola, Assisi 1994; G. Iammarrone, «Antropologia teologica francescana», in Impegno ecclesiale dei frati Minori Conventuali nella cultura ieri e oggi (1209-1997), Miscellanea Francescana, Roma 1998, 283-310; D. Dozzi, «L’antropologia di Francesco d’Assisi a partire dai suoi scritti», in G. Pasquale - P.G. Taneburgo (edd.), L’uomo ultimo: per una antropologia cristiana e francescana, EDB, Bologna, 2006, p. 65-88; J.B. Freyer, Homo viator: l’uomo alla luce della storia della salvezza. Un’antropologia teologica in prospettiva francescana, EDB, Bologna 2008.

[36] Lo Spirito Santo è definito «anima della Chiesa» (78,3), e che la carità è l’«anima dell’apostolato» (157,1). Diffusamente il servizio alla fraternità è definito come «animazione».

[37] Le Costituzioni impiegano anche l’espressione «stare a cuore» per dire l’attribuzione di una speciale importanza, a proposito dell’adesione al Magistero (183,1), della conoscenza della Regola (7,3), del legame con l’Ordine Francescano Secolare (102,5; 155,2). In senso figurato, l’Eucaristia è detta «cuore della fraternità» (48,1), in quanto ne va posta al centro e rende la fraternità viva.

[38] Compare anche nell’espressione comune, del rammentare, «tenere a mente», a proposito della vocazione apostolica (81,5).

[39] La distinzione tra le varie accezioni del termine, però, non è sempre sicura. Ci pare inoltre che talora l’uso dell’inziale minuscola o maiuscola non sia sicuro. Del resto anche nelle fonti bibliche l’uso del termine non sempre è univoco nello stesso testo.

Va anche annotato che, con la sua valenza psicologica di potenza volitiva, compare il termine animo (92,4): generoso (12,1; 157,4; 159,4); riconoscente (16,3; 89,1); lieto (78,5; 172,8); aperto e fiducioso (108,4; 160,3); disponibile (147,8); pronto (148,1; 157,4); profetico (177,6).

[40] Esso compare anche nella sua valenza ecclesiologica di «Corpo di Cristo» (10,6; 51,1; 117,1; 151,1; 175,5).

[41] Più frequente il termine carne compare in riferimento all’incarnazione del Verbo.

[42] La nascita è citata solo a proposito di Gesù (60,2). La morte è evocata a proposito di Gesù (22,2; 60,3; 88,2; 114,1; 158,1), di san Francesco (188,1), del papa (OG 3/2), del singolo frate (92,4). Maggiore attenzione al ciclo della vita e alle fasi in Conferenza Italiana Ministri Provinciali Cappuccini, Progetto formativo dei frati minori cappuccini italiani, nn. 26-35, EDB, Bologna 2011, 34-42.

[43] Cf P. Martinelli (ed.), Maschile e femminile, vita consacrata, francescanesimo. Scritti per l'VIII centenario dell'Ordine di Santa Chiara (1212-2012), EDB, Bologna 2012.

[44] S’intende oltre che in riferimento a Dio (e una volta anche a Cristo: 189,1).

[45] Cf F. Iozzelli, «La vita fraterna nell’Ordine francescano primitivo», in Studi francescani 74 (1977), 259-313; O. van Asseldonk, «Fisionomia della fraternità francescana», in L’Italia Francescana 57 (1982), 631-640; A. Pompei, «La fraternità negli Scritti di S. Francesco e nel primo secolo francescano», in Miscellanea Francescana 93(1993), 3-63; F. Uribe, «La fraternità nella forma di vita proposta da Francesco d’Assisi», in C. Di Nardo – G. Salonia (edd.), La fraternitas di Francesco d’Assisi., Italia Francescana, Giulianova (TE) 2003, 131-155; L. Lehmann, «L’idea fondante dell’Ordine francescano», in P. Martinelli (ed.), La grazia delle origini, EDB, Bologna 2009, 15-46.

[46] Così è sintetizzata in J. Corriveau, Lettera circolare Fraternità evangelica (1997): «Una fraternità di frati minori, servi del mondo. Una fraternità contemplativa. Una fraternità povera e austera. Una fraternità inserita tra i poveri. Una fraternità dedita alla giustizia, alla pace, al rispetto per la natura. Una fraternità piena di calore umano», in Analecta OFMCap 13(1997), 13.

[47] Al plurale, si parla di mondo «assetato di Dio» (59,2), o di uomini, da attrarre ad amare Dio con gioia (15,5).

[48] Cf G.F. Benegiamo, Autorità e libertà nelle costituzioni cappuccine: un contributo per la visione teologico-morale del rapporto tra autorità e libertà nella vita religiosa, Bari 1988; P. Martinelli P., «Liberi di cercare Dio. Note teologico spirituali», in Vita Consacrata 45(2009), 125-161.

[49] P. Martinelli, «Obbedienza salvifica di Cristo e l’obbedienza nella vita consacrata», in Religiosi in Italia 13(2008), 48*-54*.

[50] Cf L. Simanullang, Conversione continua: le Costituzioni attuali (1990) dei Frati Minori Cappuccini come stimolo per un rinnovamento della vita dell’Ordine (Dissertationes ad Doctoratum. 332), Antonianum, Roma 1993.

[51] Cf L. Izzo, La semplicità evangelica nella spiritualità di s. Francesco d’Assisi (Studi e ricerche. 2), Laurentianum, Roma 1971.

[52] Cf. C. Roberto, Nei panni di Francesco. Il ruolo dell’abito nella vita del Santo di Assisi, Stilo, Bari 2009.

[53] Cf A. Caciotti – M. Melli, I francescani e l’uso del denaro, Biblioteca Francescana, Milano 2011; M. Carbajo Núñez, Economia francescana. Una proposta per uscire dalla crisi, EDB, Bologna, 2014.

[54] Cf M. De Marzi, S. Francesco d’Assisi e l’ecologia, Borla, Roma 1981; L. Mathieu, La Trinità creatrice secondo san Bonaventura, Biblioteca Francescana, Milano 1994; F. Uribe (ed.), Il “Liber naturae” nella “Lectio antoniana”, Antonianum, Roma 1996; L. Profili, Il libro della creazione letto con San Francesco, Porziuncola, Assisi 1997; G. Beschin, «La creatura simbolo del creatore in san Bonaventura alla luce della ragione e della fede», in Doctor Seraphicus 47(2000), 43-64.

[55] Le Costituzioni usano il termine generico creatura. Non compaiono né gli angeli (inclusi quelli decaduti) né gli animali, che pur hanno un posto nella storia della salvezza e nella spiritualità francescana. Cf F. Cardini, «Francesco d’Assisi e gli animali», in Studi francescani 78(1981), 7-46: Id., «Il lupo di Gubbio. Dimensione storica e dimensione antropologica di una “leggenda”», in Studi francescani 74(1977), 315-343.

[56] In ambito francescano, il riferimento ormai classico è a J. Ratzinger, San Bonaventura. La teologia della storia, Nardini, Firenze 1991 (or. 1959).

[57] Sulla mariologia francescana cf il fascicolo di Quaderni di spiritualità francescana 22(2000); S. Cecchin, Maria Signora Santa e Immacolata nel pensiero francescano, Pontificia Academia Mariana Internationalis, Città del Vaticano, 2001; G. Salonia, «Maria: via della bellezza come via della salvezza», in Italia Francescana 78(2005), 67-84.

[58] Cf F. Elizondo, «Cristo y San Francisco en la constituciones capuchinas de 1536», in Laurentianum 24(1983), 76-115; O. Schmucki, La figura di S. Francesco nelle prime Costituzioni Cappuccine del 1529 (I Frati Cappuccini. Sussidi per la lettura dei documenti e testimonianze del I secolo. 4), CISPCap, Roma 1989; Id., La figura storica e spirituale di S. Francesco nelle Costituzioni Cappuccine del 1536 (I Frati Cappuccini. Sussidi per la lettura dei documenti e testimonianze del I secolo. 5), CISPCap, Roma 1989; J. Kazmierczak, San Francesco nelle Costituzioni dei Frati Minori Cappuccini (Dissertationes ad Doctoratum. 323), Antonianum, Roma 1991.

[59] Per la ricaduta sul mondo francescano cf. P. Martinelli (ed.), Il rinnovamento della vita consacrata e la famiglia francescana, EDB, Bologna 2007. Per i Cappuccini cf F. Neri, «La ricezione del Vaticano II nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini», ivi, 167-183.

[60] I riferimenti principali al magistero di Paolo VI includono la Lettera enciclica Ecclesiam suam (1964), la Lettera apostolica Ecclesiae Sanctae (1966), la Costituzione apostolica Paenitemini (1966), l’Esortazione apostolica Evangelica Testificatio (1971), l’Esortazione apostolica Marialis cultus (1974), l’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (1975). Cf anche Paolo VI, Cari Cappuccini…, Frate Indovino, Perugia 1985, che raccoglie undici interventi rivolti tra il 1963 e il 1976.

[61] Compaiono citazioni e rimandi alla Lettera enciclica Laborem exercens. (1981), l’Esortazione apostolica Familiaris consortio (1981), l’Esortazione apostolica Redemptionis donum (1984), la Lettera enciclica Redemptoris Mater (1987), la Lettera enciclica Sollecitudo rei socialis (1987), l’Esortazione apostolica Christifideles laici (1988), la Lettera apostolica Euntes in mundum (1988), la Lettera apostolica Mulieris dignitatem (1988), la Lettera apostolica Redemptoris missio (1990), la Lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente (1994), la Lettera enciclica Orientale lumen (1995), la Lettera enciclica Evangelium vitae (1995), la Lettera apostolica Dies Domini (1998), la Lettera apostolica Novo millennio ineunte (2001). Cf anche Giovanni Paolo II, Cari frati cappuccini… (Omelie, discorsi, lettere. 1978-2005), a c. di F. Neri, Italia Francescana, Roma 2006.

[62] Del quale vengono citate l’Enciclica Caritas in veritate (2009) e l’Esortazione apostolica Verbum Domini (2010).

[63] Cf F. Neri, «Il mistero trinitario nelle Costituzioni dei Cappuccini», cit., 275-278.

[64] Le Costituzioni esigono sovente in modo esplicito la maturità umana, nei suoi aspetti spirituale, intellettuale, psichico, affettivo, sessuale (19,3f; 26,4; 30,2; 31,1; 32,1.3; 42,3; 78,1; 96,1; 172,1). Cf G. Salonia, «Maturità», in Dizionario di Scienze dell’Educazione, LAS-LDC-SEI, Roma 1997, 662-665

[65] Cf A. Spadaro, «“Svegliate il mondo!”. Colloquio di papa Francesco con i Superiori generali», in La Civiltà Cattolica 164(2014/1), 3 nota 1. La lettera Identità e appartenenza dei Frati Minori Cappuccini si riallaccia a quanto indicato dal papa in tale incontro.

Dernière modification le mardi, 07 juillet 2020 14:12

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