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Stemma del Cardinale

STEMMA
di Sua Eminenza Reverendissima
il signor cardinale
fra’ Raniero CANTALAMESSA OFMCap
Predicatore della Casa Pontificia

Stemma di Raniero

* Le miniature dello stemma a colori e in bianco e nero - con i previsti segni convenzionali indicanti gli smalti - sono dell’araldista ENZO PARRINO, Monterotondo (ROMA).

 

BLASONATURA

“D’azzurro alla colomba d’argento, raggiante d’oro, volante verso la punta dello scudo; al capo dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini: d’argento al braccio nudo di Cristo posto in croce di sant’Andrea sul braccio vestito di tonaca di Francesco, con le mani di carnagione recanti le stigmate; dall’incontro nasce la croce di rosso, il tutto movente da nuvole d’argento. Lo scudo è timbrato da un cappello con cordoni e nappe di rosso. Le nappe, in numero di trenta, sono disposte quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5. Sotto lo scudo, nella lista bifida e svolazzante d’argento, il motto in lettere maiuscole di nero: “VENI CREATOR SPIRITUS”.

ESEGESI

“Nella vita umana segni e simboli occupano un posto importante. In quanto essere corporale e spirituale insieme, l’uomo esprime e percepisce le realtà spirituali attraverso segni e simboli materiali. In quanto essere sociale, l’uomo ha bisogno di segni e simboli per comunicare con gli altri per mezzo del linguaggio, di gesti, di azioni. La stessa cosa avviene nella sua relazione con Dio”[1].

“L’araldica è un linguaggio complesso e particolare costituito da una miriade di figure e lo stemma è un contrassegno che deve esaltare una particolare impresa, un fatto importante, un’azione da perpetuare.

Questa scienza documentaria della storia dapprima era riservata ai cavalieri ed ai partecipanti ai fatti d’armi, sia guerreschi che sportivi, che si rendevano riconoscibili grazie allo stemma, posto sullo scudo, sull’elmo, sulla bandiera e anche sulla gualdrappa, rappresentante l’unico modo per distinguersi gli uni dagli altri.

L’araldica dei cavalieri venne quasi subito imitata dalla Chiesa, anche se gli enti ecclesiastici in periodo pre-araldico avevano già propri segni distintivi, tanto che al sorgere dell’araldica, nel secolo XII, tali figure assunsero i colori e l’aspetto propri di quella simbologia.

“Il dotto e famoso araldista Goffredo di Crollalanza in Genesi e Storia del Linguaggio Blasonico (1876) tra l’altro scrive; ‘L’araldica ebbe la cavalleria per autore, il bisogno per movente, il trofeo per scopo, i tornei e le crociate per occasione, il campo di battaglia per culla, l’armatura per campo, il disegno per mezzo, il simbolo per ausiliare, il creato per materia, l’ideologia per concetto, il blasone per conseguenza. Ed aggiunge: ‘Il blasone non è l’illustrazione; come la mente non è l’anima, ma la manifestazione dell’anima”[2]

L’araldica ecclesiastica al nostro tempo è viva, attuale e largamente utilizzata. Per un prelato, tuttavia, l’uso di uno stemma deve oggi essere definito quale simbolo, figura allegorica, espressione grafica, sintesi e messaggio del suo ministero.

Occorre ricordare che agli ecclesiastici fu sempre vietato l’esercizio della milizia e il porto delle armi e per tale motivo non si sarebbe dovuto adottare il termine ‘scudo’ o ‘arme’ propri dell’araldica; tuttavia va detto che sino a tempi recenti gli ecclesiastici usavano il loro stemma di famiglia, molto spesso privo di qualunque simbologia religiosa.

La stessa simbologia della Chiesa Romana è attinta dal Vangelo ed è rappresentata dalle chiavi consegnate da Cristo all’apostolo Pietro”[3].

Nel primo periodo gli stemmi ecclesiastici risultavano con lo scudo timbrato dalla mitria con le infule svolazzanti; con il passare del tempo si consoliderà, invece, alla sommità dello scudo il cappello prelatizio con i cordoni ed i vari ordini di nappe o fiocchi, di diverso numero secondo la dignità, il tutto di verde se vescovi, arcivescovi e patriarchi, il tutto di rosso se cardinali di Santa Romana Chiesa.

Annotiamo, inoltre, che con “L’Istruzione sulle vesti, i titoli e gli stemmi dei cardinali, dei vescovi e dei prelati inferiori” del 31 marzo 1969, a firma del cardinale segretario di Stato Amleto Cicognani, all’art. 28 si recita testualmente: “Ai cardinali e ai vescovi è permesso l’uso dello stemma. La configurazione di tale stemma dovrà essere conforme alle norme che regolano l’araldica e risultare opportunamente semplice e chiaro. Dallo stemma si tolgono sia il pastorale che la mitra”[4].

Nel successivo art. 29 si precisa che ai cardinali è permesso di far apporre il proprio stemma sulla facciata della chiesa che è attribuita loro come titolo o diaconia.

Gli eccellentissimi e reverendissimi vescovi timbrano, infatti, lo scudo, accollato ad una croce astile semplice d’oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di verde. I fiocchi in numero di dodici sono disposti sei per parte, in tre ordini di 1, 2, 3.

L’origine e l’uso dei cappelli di verde, per i patriarchi, arcivescovi e vescovi, si vuole derivato dalla Spagna, dove, nel Medioevo, i prelati usavano un cappello prelatizio di verde. Per tale motivo gli scudi dei vescovi, arcivescovi e patriarchi risultano timbrati con un cappello di verde.

Gli eccellentissimi e reverendissimi arcivescovi timbrano lo scudo, accollato ad una croce astile patriarcale d’oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di verde. I fiocchi in numero di venti sono disposti dieci per parte, in quattro ordini di 1, 2, 3, 4.

Gli eccellentissimi e reverendissimi patriarchi timbrano lo scudo, accollato ad una croce astile patriarcale d’oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di verde.

I fiocchi in numero di trenta sono disposti quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5[5].

Gli eminentissimi e reverendissimi signori cardinali di Santa Romana Chiesa timbrano lo scudo, accollato ad una croce astile patriarcale d’oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di rosso. I fiocchi in numero di trenta sono disposti quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5.

Infatti, nel 1245, nel corso del Concilio di Lione, il papa Innocenzo IV (1243-1254) concesse ai cardinali un cappello di rosso, quale particolare distintivo d’onore e di riconoscimento tra gli altri prelati, da usarsi nelle cavalcate in città. Lo prescrisse di rosso per ammonirli ad essere sempre pronti a spargere il proprio sangue per difendere la libertà della Chiesa e del popolo cristiano. Ed è per questo motivo che dal XIII secolo i cardinali timbrano il loro scudo con un cappello di rosso, ornato di cordoni e di nappe dello stesso colore.

Infine, l’eminentissimo e reverendissimo signor cardinale camerlengo di Santa Romana Chiesa porta lo scudo con lo stesso cappello degli altri cardinali, ma timbrato dal gonfalone papale, durante munere, ossia durante la sede vacante apostolica. Il gonfalone papale o stendardo papale, chiamato anche basilica, è a forma di ombrellone a gheroni rossi e gialli con i pendenti tagliati a vajo e di colori contrastati, sostenuto da un’asta a forma di lancia coll’arresto ed è attraversata dalle chiavi pontificie una d’oro e l’altra d’argento, decussate, addossate, con gli ingegni rivolti verso l’alto, legate da nastro di rosso.

Gli stessi colori di verde o di rosso vanno usati, altresì, nell’inchiostro dei sigilli e negli stemmi riportati negli atti, quest’ultimi con i previsti segni convenzionali indicanti gli smalti.

L’Antico ed il Nuovo Testamento, la Patristica, i legendaria dei Santi, la Liturgia hanno offerto, nei secoli, alla Chiesa i temi più svariati per i suoi simboli, destinati a divenire figure araldiche.

Quasi sempre tali simboli alludono a compiti pastorali o di apostolato degli istituti ecclesiastici, sia secolari che regolari, oppure tendono ad indicare la missione del clero, richiamano antiche tradizioni di culto, memorie di santi patroni, pie devozioni locali.

GLI SMALTI

Una delle norme fondamentali che regola l’araldica asserisce che chi ha meno ha più, con riguardo alla composizione degli smalti, figure e positure dello scudo.

E l’arme che ora andremo ad esaminare è composta dai metalli oro ed argento e dai colori di rosso e d’azzurro.

Cercare il proprio stemma, quindi, quello vero, da poter innalzare come vessillo, con il quale segnare le proprie carte, comprenderne compiutamente i simboli, non è, in qualche modo, cercare se stessi, la propria immagine, la propria dignità?

Ecco come un atto, che potrebbe essere letto solo formalmente, può acquisire invece un significato simbolico e fortemente pregnante.

D’oro e d’argento, di rosso e d’azzurro, quindi, sono gli smalti che figurano nello stemma del cardinale Raniero Cantalamessa, O.F.M. Cap., ma quali simboli racchiudono e sprigionano tali smalti, quali messaggi ne derivano per l’uomo, spesso frastornato, giunto, oramai, al XXI secolo?

I “metalli”, di oro e d'argento, araldicamente rappresentano e ricordano le antiche armature dei cavalieri che, secondo il rispettivo grado di nobiltà, erano appunto dorate o argentate; l’oro, inoltre, è simbolo della regalità divina mentre l’argento allude a Maria.

Il “colore” d’azzurro ricorda, invece, il mare attraversato dai crociati per portarsi in Terra Santa.

Addentrandoci più specificatamente nel simbolismo araldico degli “smalti”, ricordiamo che fra i “metalli”, l’oro rappresenta la Fede fra le virtù, il sole fra i pianeti, il leone nei segni zodiacali, luglio fra i mesi, la domenica fra i giorni della settimana, il topazio fra le pietre preziose, l’adolescenza sino ai vent’anni fra le età dell’uomo, il girasole fra i fiori, il sette fra i numeri e se stesso fra i metalli; l’argento rappresenta la Speranza fra le virtù, la luna fra i pianeti, il cancro nei segni zodiacali, giugno fra i mesi, il lunedì fra i giorni della settimana, la perla fra le pietre preziose, l’acqua fra gli elementi, l’infanzia sino a sette anni fra le età dell’uomo, il flemmatico fra i temperamenti, il giglio fra i fiori, il due fra i numeri e se stesso fra i metalli.

Fra i “colori”, invece, il di rosso, considerato da molti araldisti, il primo fra i colori dell’arme, perché rappresentava il sangue vivo versato dai crociati, simboleggia la Carità fra le virtù teologali, Marte fra i pianeti, l’Ariete e lo Scorpione nei segni zodiacali, marzo e ottobre fra i mesi, il mercoledì fra i giorni della settimana, il rubino fra le pietre preziose, il fuoco fra gli elementi, l’autunno fra le stagioni, la virilità sino a cinquant’anni fra le età dell’uomo, il sanguigno fra i temperamenti, il garofano fra i fiori, il tre fra i numeri e il rame fra i metalli.

Il rosso: “rappresenta il fuoco fra gli elementi, il rubino fra le pietre preziose; e simboleggia amore di Dio e del prossimo, verecondia, spargimento di sangue in guerra, desiderio di vendetta, audacia, valore, fortezza, magnanimità, generosità, grandezza, nobiltà cospicua, e dominio. È anche un ricordo dell'Oriente e delle spedizioni d'oltremare, come pure dimostra giustizia, crudeltà e collera. Ignescunt irae, disse Virgilio. Finalmente, siccome dagli antichi era consacrato a Marte, significa slanci d'animo intrepido, grandioso e forte. Gli Spagnuoli chiamano il campo rosso sangriento, ossia sanguinoso, perchè richiama alla memoria le battaglie sostenute contro i Mori. Un nome analogo lo troviamo in Germania nel blütige Fahne, vexillum, cruentum, campo tutto rosso senza alcuna figura, che indica i diritti di regalìa, e si trova nell'armi di Prussia, d'Anhalt, ecc. Il rosso è coll'azzurro uno dei due colori più usati nel blasone; ma più frequentemente si trova nelle armi di famiglie borgognone, normanne, guascone, brettone, spagnuole, inglesi, italiane e polacche... Nelle bandiere il rosso rappresenta ardire e valore, e pare sia stato adottato in principio dagli adoratori del fuoco”[6].

L’azzurro, smalto tipicamente mariano, rappresenta la Giustizia fra le virtù, giove fra i pianeti, il toro e la bilancia nei segni zodiacali, aprile e settembre fra i mesi, il martedì fra i giorni della settimana, lo zaffiro fra le pietre preziose, l’aria fra gli elementi, l’estate fra le stagioni, la fanciullezza sino ai quindici anni fra le età dell’uomo, il collerico fra i temperamenti, la rosa fra i fiori, il sei fra i numeri e lo stagno fra i metalli.

Ci preme evidenziare che fu necessario, altresì, creare dei segni convenzionali per comprendere ed individuare gli “smalti” dello scudo, quando lo stemma risulta riprodotto nei sigilli e nelle stampe in bianco e nero. Così gli araldisti, nel tempo, usarono vari sistemi; ad esempio, scrissero nei vari campi occupati dagli smalti, l’iniziale della prima lettera corrispondente al colore dello smalto, oppure individuarono i colori con l’iscrivere le prime sette lettere dell’alfabeto o, ancora riprodussero, sempre nei campi dello smalto, i primi sette numeri cardinali.

Nel XVII secolo, l’araldista francese Vulson de la Colombière propose, invece, dei particolari segni convenzionali per riconoscere il colore degli smalti negli scudi riprodotti in bianco e nero. L’araldista padre Silvestro di Pietrasanta della Compagnia di Gesù, per primo, ne fece uso nella sua opera Tesserae gentilitiae ex legibus fecialium descriptae, diffondendone, così, la conoscenza e l’uso.

Tale sistema di classificazione, tuttora usato, identifica il rosso con fitte linee perpendicolari, l’azzurro con orizzontali, il verde con diagonali da sinistra a destra, il porpora con diagonali da destra a sinistra, il nero con orizzontali e verticali incrociate, mentre l’oro si rende punteggiato e l’argento senza tratteggio.

Per rappresentare il colore “al naturale” alcuni araldisti prevedono altri segni convenzionali, ma intendiamo sposare la tesi dell’araldista Goffredo di Crollalanza dove, per il colore “al naturale”, dopo aver ricordato che si può porre sopra metallo e sopra colore indifferentemente, senza ledere la legge della sovrapposizione degli smalti, chiarisce che si esprime nei disegni lasciando in bianco il pezzo e ombreggiando la figura nei luoghi acconci[7].

Dello stesso avviso è stato anche l’insigne araldista arcivescovo mons. Bruno Bernard Heim, che negli stemmi pontificali dei Papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo I da Lui ideati, in quelli riprodotti in bianco e nero, nel capo patriarcale di Venezia raffigura il leone marciano senza alcun segno convenzionale, alla presenza di un capo tra i più famosi e belli.

LE FIGURE

La colomba.

“Lo Spirito Santo viene quasi sempre rappresentato in forma di colomba, come nell’Annunciazione, nelle raffigurazioni della Trinità e in altre scene di ispirazione religiosa”[8].

“Quando Gesù venne battezzato, si aprirono i cieli sopra di lui, ‘ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui’ (Mt 3,16; Mc 1,10). La colomba é il Verbo d’amore del Padre, divenuto visibile nel suo Figlio incarnato. ‘Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo’ (Giov 1,32)”[9].

Volatile ben conosciuto in araldica per la simbologia correlata a messaggi di pace (…) Essa gode di una buona presenza nella simbologia araldica religiosa come raffigurazione dello Spirito Santo.

“Araldicamente la colomba simboleggia l’amore casto e puro, la pace coniugale, la fecondità”[10].

Nello stemma di padre Raniero, la colomba figura raggiante, simboleggiando lo Spirito Santo e volante[11]

Il capo francescano

Nel “capo”[12] dello scudo figura lo stemma dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini.

L’Ordine dei francescani, che ha per scopo di “vivere il Vangelo nella Chiesa secondo il modello osservato e proposto da S. Francesco d’Assisi e predicarlo ad ogni creatura”[13] ed alza per stemma: “d’argento (o d’azzurro) al braccio nudo di Cristo posto in croce di sant’Andrea sul braccio vestito di tonaca di Francesco, la mano del quale reca le stigmate; dall’incontro nasce la croce al naturale”.

Talvolta, la croce movente dall’incontro delle braccia, è rappresentata di nero, oppure, come l’araldista miniaturista Enzo Parrino ha rappresentato nel caso specifico, di colore rosso[14].

Secondo san Bonaventura, ideatore dello stemma francescano, le braccia apparterrebbero entrambe a san Francesco, raffigurate nell'atto di benedire i sui confratelli, nella potenza e nel nome del Crocifisso, dalle quali poi appunto nasce la croce. Esiste anche un interessante e singolare aneddoto, che viene invocato per spiegare il perché delle due braccia, uno ignudo e l’altro vestito. Nel 1213-1214, San Francesco fu ospitato al castello di Susa da Beatrice di Ginevra, moglie del conte Tommaso I di Savoia. In quell’occasione la contessa donò al santo un terreno perché vi sorgesse un convento. In segno di gratitudine, per soddisfare al desiderio della benefattrice che gli chiedeva un ricordo, il santo di Assisi, si staccò una manica dalla tonaca e gliene fece dono. Fu così che, durante il lungo viaggio di ritorno, tutti videro Francesco con un braccio ignudo e l’altro vestito, e così furono da lui benedetti con le braccia in forma di croce[15].

È da rilevare che, nel tempo, è invalso l’uso di caricare delle nuvole che sostengono le due braccia, che in araldica si blasona con: “il tutto movente dalle nuvole d’argento”.

Nei primi due secoli l’Ordine francescano non ebbe un proprio stemma araldico, mentre sappiamo che san Francesco nelle scritture usava, quale contrassegno, il Tau (T), come segno della croce. Il Tau riporta all’Angelo che, nella Bibbia, segna con tale simbolo gli eletti per risultare immuni dai flagelli.

Nel secolo XIV i Francescani, chiamandosi cordiglieri o cordigeri, usano il cordone annodato, che portano sul saio, quale loro segno distintivo. Le mani, poste in decusse, le rileviamo, in forma lapidea, nella sacrestia del convento di san Francesco del Deserto, Venezia, recanti per data il 1499.

Sempre nel Quattrocento, in uno schienale d’una panca della chiesa minoritica di Celano, figura, ad intarsio, il simbolo dei figli di san Francesco in un ovale formato dal cordone francescano, con caricate due braccia in decusse; quella, alla destra araldica, di san Francesco, con il saio, impugnante una croce astata e patente, mentre, alla sinistra araldica, il braccio di carnagione di Cristo, con la mano stimmatizzata e in atto di benedire.

L’araldista padre Leone Bracaloni O.F.M., al riguardo, asserisce che il significato emerge già chiaro da questo tipo arcaicizzante; è l’idea delle conformità di san Francesco con Gesù Cristo simboleggiata con l’avvicinamento delle due braccia stimmatizzate; dove tuttavia è bene espressa la distinzione di dignità fra i due, col gesto autorevole del braccio divino, nell’atto di benedire, e la nota di vessillifero, nel sostenere la croce, nell’altro di san Francesco.

Alla fine del Quattrocento le due braccia in decusse, quella di Cristo, coperta da una manica di stoffa stretta, e quella di san Francesco, ricoperta dalla tonaca francescana ed ambedue stimmatizzate, caricate, generalmente, dentro un ovale delimitato dal cordone francescano, figurano già ufficialmente introdotte, quale segno e simbolo identificativo, nell’Ordine francescano.

Nel tempo troviamo altre variazioni, ad esempio, al capo, tra le due braccia, una corona all’antica, o, ancora le due braccia caricate su di un cuore, sino a trovare la croce latina che nasce dall’unione, in decusse, delle due braccia[16].

L’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, nato dalla riforma del 1525, ha, invece, per scopo: “l’Imitazione di Cristo, nell’ascetismo e nell’apostolato, secondo la più stretta tradizione francescana”[17], e porta lo stesso simbolo araldico degli altri Ordini di frati minori, “ma la procura generale nel secolo XVII aggiunse sul capo la colomba”[18].

Tale nuova figura araldica però non l’abbiamo riscontrata nei numerosi stemmi dei Cappuccini visionati, per cui riteniamo che sia presto tramontata.

Come l’uomo, così il simbolo è anche ciò che è stato per essere autenticamente ciò che sarà.

Necessita quindi fare memoria e speranza di questa sorgente ricchissima e inesausta, a cui è possibile attingere ancora per il nostro oggi.

Giorgio ALDRIGHETTI        

17 Novembre 2020
nella memoria di santa Elisabetta d’Ungheria

_________________

Blasonatura ed esegesi a cura dell’araldista Giorgio Aldrighetti di Chioggia (Venezia), socio ordinario dell’Istituto Araldico Genealogico Italiano.

Le miniature dello stemma a colori e in bianco e nero - con i previsti segni convenzionali indicanti gli smalti - sono dell’araldista ENZO PARRINO, Monterotondo (ROMA).

 



[1] Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano 1999, p. 335.

[2] A. Cordero Lanza di Montezemolo - A. Pompili, Manuale di Araldica Ecclesiastica, Libreria Editrice Vaticana, 2016, p. 18.

[3] P. F. degli Uberti, Gli Stemmi Araldici dei Papi degli Anni Santi, Ed. Piemme, s. d.

[4] da L’Osservatore Romano, 31 marzo 1969.

[5] L’araldista Sua Ecc.za Rev. ma mons. Bruno Bernard Heim per lo stemma patriarcale così recita: “I patriarchi ornano il loro scudo con un cappello di color verde dal quale scendono due cordoni pure verdi che terminano in quindici fiocchi verdi per ciascun lato”.

B. B. Heim, L’Araldica della Chiesa Cattolica, origini, usi, legislazione, Città del Vaticano 2000, p. 106.

[6] G. Crollalanza (di), Enciclopedia araldico-cavalleresca, Pisa 1886, pp. 516-517, voce Rosso.

[7] Ibidem, p. 28, voce Al naturale.

[8] H. Biedermann, Enciclopedia dei simboli, Munchen 1989, pag. 129, voce colomba.

[9] M. Lurker, Dizionario delle Immagini e dei Simboli Biblici, Cinisello Balsamo (Milano) 1990, p. 57, voce Colomba.

[10] L. Caratti di Valfrei, Dizionario di Araldica, Milano 1997, p. 90, voce Colomba.

[11] Di figura animata in atto di volare della quale deve essere sempre blasonata la direzione. (A. Cordero Lanza di Montezemolo - A. Pompili, Manuale di Araldica Ecclesiastica, Libreria Editrice Vaticana, 2016, p. 204, voce Volante.

[12] “Pezza onorevole che occupa la parte, più alta di uno scudo delimitata da una linea retta orizzontale posta a un terzo dell’altezza dello scudo. (L. Caratti di Valfrei, Dizionario di Araldica, Milano 1997, p. 48, voce Capo).

[13] Annuario Pontificio, Libreria Editrice vaticana, 1996, p. 1429.

[14] Giebens S., Lo Stemma Francescano - Origine e sviluppo. Ist. Storico dei Cappuccini, Roma 2009.

[15] Zamagni G., Il Valore del Simbolo. Il Ponte Vecchio, Cesena 2003.

[16] Bracalon F., Lo stemma francescano nell’arte, “Studi Francescani”, N.S. anno VII (XVIII) n.1, Arezzo, Gennaio-Marzo 1921, pp. 221-226.

[17] Annuario Pontificio, Libreria Editrice vaticana, 1996, p. 1430.

[18] Bascapè G.C. - Del Piazzo M., con la collaborazione di Borgia L., Insegne e simboli. Araldica pubblica e privata medioevale e moderna, Roma 1983, p. 359.

Ultima modifica il Lunedì, 30 Novembre 2020 17:13
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