Ordo Fratrum Minorum Capuccinorum IT

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updated 11:54 AM UTC, Mar 20, 2024

La santità nella Vita consacrata

Anche oggi, come in ogni tempo della vita della Chiesa, si avverte l'esigenza di rivolgere il proprio sguardo a uomini e donne che fanno brillare la santità di Dio nella loro vita, nella loro azione, nella loro dottrina, per imitarli con un ritorno mediante la conversione a seguire Cristo, il suo Vangelo, la sua azione di vita.

Il calendario liturgico e il santorale di ogni Famiglia Francescana è ricco! Non ve né dubbio, anche se a volte questa ricchezza viene elusa, dimenticata soprattutto nella celebrazione liturgica e comune della nostra preghiera. Quasi a dire che celebrando il «santo o il beato» dell'Ordine si dimenticasse o si mettesse in minor luce il mistero di Cristo e della salvezza da lui operata. Non è così raro infatti trovare molte nostre fraternità che non celebrano il beato dell'Ordine di quel giorno perché è solamente beato, è un culto locale si dice!

È invece nell'incontro concreto con i santi e i beati che la Chiesa ci offre ogni giorno, non potrà che nascere il desiderio di fare come loro, di cercare ciò che acquieta il nostro cuore e lo rende libero di fare la volontà di Dio: «Ciò che Tu vuoi e di volere sempre ciò che a Te piace» (San Francesco d'Assisi, Lettera a tutti i fedeli, 6).

La santità, ben lo sappiamo, è per tutti, non è cosa che interessa solo alcuni. Però molto spesso nel nostro modo di dire si è portati ad usare espressioni per cui la santità è una meta riservata a pochi eletti. Molto spesso si sente dire: «ma loro sono santi!», «come io posso raggiungerli!»; «è stato di vita che non è per tutti e tanto meno per me!». Comprendendo il tutti e connotando il tutto come un'espressione «morale» e non come è la realtà: «una vita in unione a Cristo».

L'apostolo Paolo parlando del grande disegno di Dio afferma: «In lui – Cristo – (Dio) ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef 1,4). Al centro del disegno divino c'è Cristo, nel quale Dio mostra il suo Volto: il Mistero nascosto nei secoli si è rivelato in pienezza nel Verbo fatto carne. Tutta l'esistenza cristiana conosce un'unica suprema legge. Stare in Cristo Gesù. La santità, la pienezza della vita cristiana, non consiste nel compiere imprese straordinarie, ma nell'unirsi a Cristo, nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti. La misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua.

Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla Chiesa, parla con chiarezza della chiamata universale alla santità, affermando che nessuno ne è escluso: «Nei vari generi di vita e nelle varie professioni un'unica santità è praticata da tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio e ... seguono Cristo povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria» (LG 41).

Ma come può avvenire che il nostro modo di pensare e le nostre azioni diventino il pensare e l'agire con Cristo e di Cristo? Qual è l'anima, il centro vivo e attivo della santità? Ancora il Concilio Vaticano II nella Lumen Gentium afferma che la santità cristiana non è altro che la carità pienamente vissuta. «Dio è amore; chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1Gv 4,16). Ora, Dio ha largamente diffuso il suo amore nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci fu dato (cfr Rm 5,5); perciò il dono primo e più necessario è la carità, con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Lui. La carità infatti, vincolo della perfezione e compimento della legge (cfr Col 3,14; Rm 13,10), dirige tutti i mezzi di santificazione, dà loro forma e li conduce al loro fine» (LG 42).

Eliminare dall'orizzonte della propria vita, ancor più per noi consacrati, la tensione alla santità, all'amore perfetto, alla carità donata in Cristo, ha il significato che chiamata e la vocazione alla quale un giorno si è risposto con l'«eccomi», «si compia in me la tua volontà», accusa un calo di tensione e il più delle volte non informa più la vita, non dà più forma all'azione e ai gesti e il loro significato è schiacciato verso il basso. Lo sguardo non oltrepassa l'intramondano, il passo è pesante e la voce è muta! Senza tanti forse o ma, senza tanti distinguo, la risposta alla chiamata a vivere in totale abbandono in Dio, non è stata una consegna a Cristo di tutto, ma un semplice accomodarsi senza la veste bianca mantenendo il proprio progetto di vita. Non assumendo o assumendo in maniera formalistica o vuota, l'orizzonte della vita in Cristo, di una vita consegnata volontariamente al Signore, viene vanificata e l'opera della grazia non ha efficacia. E ben sappiamo quali implicanze ha la consegna ad un altro dell'intera propria esistenza! «Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me! ». In caso contrario mi allontanerò sempre più dall'immagine e somiglianza di Lui: in Lui siamo stati creati, in Lui siano stati ri-creati e salvati.

Nella consegna a Cristo si possono leggere i tre voti o i tre consigli evangelici: verginità, povertà, obbedienza, promessi, dichiarati e pronunciati coram populo, davanti alla Chiesa, ai suoi pastori, ai suoi fedeli. Chiamati per essere sua proprietà, riservati a Lui, messi da parte per Lui e per appartenere totalmente a Dio, per un'azione cultuale, «per offrire i vostri corpi come sacrificio vivo e santo, gradito a Dio, come vostro culto secondo la ragione» (Rom 12,1). Come offerta a Dio gradita «facendo di tutte le cose un'eucaristia» (Cfr. 1 Tess, 5, 18), un ringraziamento a Dio in Cristo Gesù, il Santo che si è offerto una volta per sempre per ri-condurci alla nostra identità: immagine e somiglianza di Lui.

La santità, prendendo a prestito le parole del poeta, «non è dunque baciare sulla bocca un lebbroso o morire in terra di Paganìa, ma fare la volontà di Dio, prontamente, si tratti di stare al proprio posto o di salire più in alto» (Paul Claudel, L'Annuncio a Maria). La santità dei nostri fratelli e sorelle santi e beati è raccolta e raccontata del loro fare la volontà di Dio. Per qualcuno è il lungo tempo di preparazione per dire il suo fiat in un soffio appena percettibile, per altri sono invece lunghi anni passati in un servizio continuo e laborioso senza sosta nel darsi e consegnarsi ai più bisognosi, per altri ancora un silenzioso e nascosto combattimento per aprire ad altri spiragli di cielo, per altri un itinerare senza sosta da un luogo all'altro per annunciare il Vangelo.

Tutti però consapevoli che il primo compito di colui, che ha restituito a Dio la vita che ha ricevuto in Cristo nel Mistero della Pasqua, è la preoccupazione per la santità degli altri. Preoccupati di portare tutti a Cristo e di non perdere nessuno di quanti sono stati salvati nella chiara consapevolezza di appartenere al corpo di Cristo, alla sua Chiesa, dove anche i gesti più nascosti di ascesi e di abbandono in Dio non sono per se stessi, ma strumento perché tutti siano uno in Cristo.

Ogni santo, cioè la santità incarnata, porta con se la consapevolezza che il suo compito è un compito ecclesiale, una missione ecclesiale. Gli stessi gesti di ascesi e di austerità proposti alla nostra vita di consacrati non sono in relazione ad una crescita della personale santità, ma diventano veri e quindi comprensibilmente anche facili, se stanno nell'orizzonte del portare tutti in Cristo in una fraternitas concreta resa viva e autentica dallo Spirito Santo. Se, come per Cristo, si è nella tensione di farsi eucaristia, nel distribuire la propria vita come cibo.

È ciò che è accaduto a tanti nostri confratelli santi e beati che incontrato Cristo e mossi dallo Spirito Santo sono andati verso altri uomini per incontrali a loro volta e per loro e con loro edificare il dono ricevuto. Ne sono certo ciò accade anche oggi, sta accadendo ora anche in questo momento. La santità di Dio è in cammino anche oggi ed è presente anche nel nostro tempo e cerca chi risponda.

«Purtroppo, scriveva papa Benedetto XVI nel messaggio della Quaresima del 2012, è sempre presente la tentazione alla tiepidezza, del soffocare lo Spirito, del rifiuto di trafficare i talenti che ci sono donati per il bene nostro e altrui. [...] La sapienza della Chiesa nel riconoscere e proclamare la beatitudine e la santità di taluni cristiani esemplari, ha lo scopo di suscitare il desiderio di imitarne le virtù. Di fronte ad un mondo che esige dai cristiani una testimonianza rinnovata di amore e fedeltà al Signore, tutti sentano l'esigenza di adoperarsi per gareggiare nella carità, nel servizio e nelle buone opere».

O come richiamava San Giovanni Paolo II «i santi sono i testimoni visibili della santità misteriosa della Chiesa. [...] Per conoscere in profondità la Chiesa è ai santi che dovete guardare! [...] Essi salvano la Chiesa dalla mediocrità, la riformano dal di dentro, la sollecitano ad essere ciò che deve essere la sposa di Cristo senza ruga e senza macchia».

I santi dunque sono chiamati ad essere «un di più di amore» come risposta a quell'amore che il Padre ha offerto in Gesù Cristo Signore della vita e che Cristo Gesù ha posto nel comandamento nuovo: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il primo e il più importante dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22, 37-40).

Così Gesù riassume il fine ultimo dell'esistenza e dunque il suo significato: Chi vuole andare verso la vita, chi vuole raggiungere il proprio destino, deve osservare il comandamento dell'amore. Il doppio comandamento dell'amore a Dio e al prossimo. Senza questo anche ogni osservanza della Legge e dei Profeti resta inutile e senza senso.

La santità resterebbe una parola vuota se non è riempita dall'amore e dal «fare lo suo e verace comandamento» (San Francesco d'Assisi, Preghiera davanti al Crocifisso). Comandamento che a volte consideriamo più un ideale da raggiungere che la realtà alla quale ci chiama Cristo. Ma il comandamento all'amore sta saldo e pacifico, al di sopra di ogni tempo, indifferente di ogni potere o non potere, di qualsiasi speranza o disperazione, di qualsiasi sforzo o fallimento. Sta saldo anche nei confronti di qualsiasi consapevolezza che nessuno in questo mondo potrebbe seriamente ritenere di averlo mai osservato in tutta la sua assolutezza.

Che il comandamento all'amore sia un comandamento e non un consiglio o un vago desiderata di Gesù è chiarissimo. Non ci sono altre strade per raggiungere il proprio destino, per abitare la santità di Dio, per stare con Gesù, per vivere la Chiesa, per essere ciò che ognuno è chiamato individualmente ad essere, se non si osserva il comandamento santo e verace!

«Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. [...] Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli» (Gv 13, 34). Colui che osserva i miei comandamenti questi mi ama, chi invece non ha l'amore è caduto così tanto fuori dalla sua vocazione che pur vivendo nel corpo è morto: «Chi non ama, rimane nella morte» (Gv 1 3, 14).

La vocazione all'amore è dunque assoluta, non ammette e non tollera alcuna eccezione. Il non adempimento di questa vocazione equivale ad un assoluto andare in rovina. Noi ci siamo per amare, amare Dio e il prossimo. Da questa semplice frase si espande la luce per tutte le oscurità della vita. L'amore è il destino a cui siamo chiamati, non in qualche forma limitata, misurata ristretta o corrispondente alle nostre limitate energie umane! Così il comandamento investe tutta la vita, ogni suo aspetto e non è neppure limitato alla nostra capacità di adempierlo. Dio non mancherà di fornire i mezzi per adempierlo. A chi è chiesto molto, molto di più sarà dato!

La santità ha allora a che fare con un «di più di amore» che la grazia di Dio fornisce. Ha a che fare con il puro amore che non conosce la parola dovere! L'unico suo dovere è sempre un potere. La necessità che si avverte di amare è sentita come la più forte, alta e perfetta libertà che non sacrificherebbe mai per nessun bene al mondo. La grazia maggiore che si sperimenta è la possibilità di amare dove all'amato deve essere dato tutto anzi deve essere dato «in soprappiù», concretizzando allo stesso tempo anche il desiderio dell'amato che per chi ama è una preghiera inespressa, un ordine, un comandamento da adempiere con premura.

La pura essenza dell'amore può essere un vuoto di parole ma quando cerchiamo di coglierla nella sua espressione concreta ci imbattiamo in uomini e donne che hanno fatto del dono di sé stessi a Cristo, a Colui che è l'Amato del Padre, che è quella luce che porta dietro di se, introducendoli nel cuore del Padre, coloro che lo seguono: i piccoli dell'amato. Piccoli in quanto gli stessi doni che il Signore concede a questi nostri fratelli e sorelle che tutto hanno restituito, sono da loro accettati perché consapevoli che tali doni sono per arricchire non la propria persona ma il Signore stesso, il suo corpo mistico, la Chiesa. Chi non volesse compiere questa prima ascesi nell'adesione irrevocabile al corpo di Cristo che è la Chiesa, non rispetterebbe il dono e il compito ricevuto della propria santità e cadrebbe in una esaltazione di sé stesso e in una ricerca di consenso per le proprie opere!

Colui che veramente ama e quindi vive della santità di Dio non ha più neppure una sfera privata per se stesso, ma tutto è in servizio al Signore, nulla è sottratto al Signore, tutto è suo. È continuamente chiamato a lasciare ciò che sembra essere stato raggiunto, a ri-consegnare anche la stessa intimità con il Cristo con la richiesta di un di più di fede, speranza e carità. La santità dunque porta con sé la dedizione, un puro poter fare, dove non c'è minaccia o costrizione (vi è quando ci si sottrae al comandamento dell'amore), dove c'è la libertà, dove non c'è timore che suppone un castigo o, con le parole di San Francesco d'Assisi, «è il timore del Signore a custodire la sua casa ivi il nemico non può trovare via d'entrata» (San Francesco d'Assisi, XXVII Ammonizione).

Abbiamo parlato di comandamento all'amore che è per tutti, che è comandamento, obbligo, dovere per il cristiano. Ci chiediamo però come mai nella vita e tradizione della Chiesa si è «istituzionalizzata» quella «via ai consigli evangelici» che è stata poi designata come «via della perfezione»?

«I consigli evangelici della verginità consacrata a Dio, della povertà e dell'obbedienza fondati sulle parole e sugli esempi del Signore e raccomandati dagli apostoli, dai padri, dai dottori e dai pastori della chiesa, sono un dono divino , che la chiesa ha ricevuto dal suo Signore e che con la sua grazia sempre conserva» (Lumen Gentium, 43), da Lui prescritti non come via per tutti. Ciò ha permesso in tempi recenti a qualche autore di scrivere un libro dal titolo «Non siamo i migliori», riferendosi ai consacrati. È vero, ma c'è qualcosa ancora da dire, da chiedersi.

C'è una differenza tra consiglio e comandamento se entrambi hanno come orizzonte o fine l'amore perfetto, la santità? Altrimenti dovremmo chiederci se all'interno di un amore perfetto ci sia una graduazione il cui gradino più basso sarebbe dato dall'obbligo all'amore, il comandamento, e il più alto quello del consiglio ad amare «di più». Con San Giovanni Paolo II è esplosa la santità feriale, quella dei «christifideles laici» nascosta o surclassata (di numero soprattutto) dalla santità «dei consacrati», di coloro che hanno professato e vissuto i voti o consigli evangelici, di coloro che hanno dichiarato e espresso un di più di amore abbracciando una Regola e legandosi alla sua osservanza.

Come possiamo spiegare questa santità «maggiore» dei consacrati o religiosi? Come intendere questa perfezione nell'amore del «siate perfetti come è perfetto il Padre mio»?

Lo potremmo fare sulle parole di Cristo nel Vangelo «se vuoi essere perfetto va vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi» (Mt. 19,21) o anche «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24).

Prima di procedere in questa nostra riflessione occorre tener presente che il prototipo di questo rinnegamento di sé e del dono totale di sé è Cristo stesso che rinunciò a fare in proprio la sua volontà per fare la volontà di Colui che lo aveva mandato.

In questa prospettiva i tre voti si collocano sotto il punto di vista del sacrificio, in cui l'uomo, per amore di Dio, pone tutto a Sua disposizione, tutto quanto possiede: beni esteriori, corporali e spirituali.

È qui che si colloca la valutazione dei consigli come un di più, come una «perfectionis via», puro mezzo per il raggiungimento di un fine che pur essendo per tutti ha un grado più elevato di amore in virtù di una dedizione più grande e così appare anche esso stesso come più grande.

Nell'Inchiesta in una Causa di beatificazione e canonizzazione si ricerca e si verifica che il candidato abbia vissuto non solo le virtù, teologali, cardinali e per i religiosi i consigli evangelici, l'umiltà e la mansuetudine, ma che le abbiano vissute in maniera eroica. Con un di più potremmo dire.

Alla stessa maniera se il comandamento all'amore, la via alla santità, cade sotto la perfezione che è necessaria alla salvezza, c'è però una perfezione ulteriore che cade sotto il consiglio. Quali le caratteristiche di questo amore dettato dai consigli?

Primo esso espressamente porta in sé anche l'amore per i nemici. Non per questo l'amore ai nemici non è escluso espressamente dall'amore e dalla santità del cristiano. Per il consacrato invece l'amore al nemico viene incluso espressamente. «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro nei cieli» (Mt. 5,48). Questa forma di amore ha origine in Dio, nella sua santità, non ha nessun fondamento naturale nella più o meno ampia simpatia umana.

La seconda caratteristica è il sacrificio volontario della propria vita per amore dei fratelli. «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv. 15,13).

E in terzo luogo si può misurare l'amore dalla grandezza dei suoi effetti. « Pietro gli disse: Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!».

Ma allora esistono o no uno stato perfetto e uno imperfetto, un più alto e un più basso di amore? Possiamo affermare in assoluta certezza che esiste la santità incarnata.

Intellettualmente possiamo dire che la questione da risolvere è come integrare i consigli con il comandamento duplice all'amore? Come vivere cioè la santità nella vita consacrata? Se non facciamo chiarezza e non comprendiamo i consigli evangelici come un dono alla Chiesa stessa la vita consacrata stessa corre il pericolo di essere considerata, al peggio diventare inutile alla Chiesa. Così può trasformarsi in un'isola che non ha e non vuole avere nessun contatto con il mondo e con gli uomini che lo abitano o si trasforma in una Onlus, in una società di assistenza, in un Esercito della salvezza dalla miseria, ma non certo luogo dell'amore puro, della tensione allo stato di perfezione, della santità e della sequela del Cristo vergine, obbediente e povero.

A questo punto bisogna considerare e premette al nostro percorso meditativo, un fatto elementare e ampiamente sperimentabile. Gli uomini così come sono, non aspirano affatto al comandamento dell'amore (è la grazia operata da Cristo e resa viva nell'uomo dallo Spirito Santo che opera il cambiamento sostanziale e fa decidere per il proprio destino) non pensano che il duplice e unico comandamento sia l'unico senso della loro esistenza. Solo se è caduto fuori dal loro orizzonte può essere presentato come comandamento. Fondamentale comandamento da cui dipendono tutta la Legge e i Profeti. Ma chi lo osserva? O ancor meglio chi può dire di aver amato Dio e il prossimo se non gli è già stato sborsato in anticipo, per misericordia da un amore perfetto?

In altre parole l'amore perfetto appartiene a Dio solo e solamente in Cristo ha avuto la sua incarnazione. Per tutti l'amore è sempre imperfetto, sempre possibile di essere dimenticato, tradito, rimandato, non vero!

Ci domandiamo: L'amore perfetto segno della santità è ordinamento di tutta la vita a Dio? È sottomissione dell'intelletto a Dio? È amore di tutte le cose terrene come a Dio? È un lasciare sgorgare ogni espressione di sé dall'amore di Dio?

Ci accorgiamo che tutti siamo segnati dal peccato e il comandamento all'amore sta ad indicare che quando troviamo uno che vive del comandamento all'amore ne siamo sorpresi e lo indichiamo come il santo, come uno che già vive il soprannaturale nel non ancora!

Il peccato dunque ci segna. È qui, quando viene inclusa la realtà del peccato che diventa chiaro il perché può venire posta una certa attenzione e, in un certo qual modo, un di più nei consigli. Essi appaiono o sono come il mezzo per allontanare gli ostacoli, mostrando di fatto il loro carattere di sussidiarietà. Sono i mezzi che creano via libera all'amore che è ostacolato dal peccato, dall'egoismo, dal volere tutto per sé, da una «in-naturale» propensione ad allontanarsi da Dio per definire e determinare sé stesso, rifiutando di essere creatura e non riconoscendo al Creatore di essere tale.

I consigli evangelici appaiono così come una via che dal non amore conducono sin dentro l'Amore. Non dicono però che l'osservanza del solo comandamento all'amore in uno stato che non è quello del consacrato legato dai voti, è un di meno, anche se da un certo punto di vita i consigli sono professati da chi è scelto dal Signore «con uno speciale amore in vista di una speciale missione» come afferma Vita consecrata: «La contemplazione della gloria del Signore Gesù nell'icona della Trasfigurazione rivela alle persone consacrate innanzitutto il Padre, creatore e datore di ogni bene, che attrae a sé (cfr Gv 6, 44) una sua creatura con uno speciale amore e in vista di una speciale missione. [...] L'esperienza di questo amore gratuito di Dio è a tal punto intima e forte che la persona avverte di dover rispondere con la dedizione incondizionata della sua vita, consacrando tutto, presente e futuro, nelle sue mani» (Vita consecrata, 17).

Ora le chiamate possono, e in realtà, sono molte e innumerevoli e tante e innumerevoli sono le vocazioni corrispondenti ad esse, tutte configurabili a partire dal medesimo punto: la disponibilità umana e la prontezza a rispondere. Così la santità rispende in tutti gli stati di vita del cristiano, che professino o no i consigli evangelici. Ancora una volta è l'offerta di sé senza condizioni all'amore di Dio in una definitività libera.

I Consigli evangelici allora non aggiungono nulla al comandamento all'amore a Dio e al prossimo se non quel voto di chi dal momento in cui lo pronuncia non sceglie ciò che piace, ma sceglie ciò che è gradito all'amato «Chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà» (Mt 10,39), dove il perdere è la totale e definitiva offerta dell'amore.

Coloro che professano i consigli evangelici dunque non sono che strumenti, segnalatori di un percorso, di uno stato di vita che indica il destino di tutti e lo rendono visibile, incarnato, perché l'uomo ha bisogno di vedere e sperimentare, toccare e essere toccato come è accaduto a Tommaso che per credere deve vedere e toccare. Così la santità ha bisogno di essere vista e toccata e ai consacrati è affidato questo compito: la missione di far vedere la santità di Dio e di poterla toccare. I santi e i beati non sono tali perché hanno avuto locuzioni private o visioni beatifiche, neppure se hanno compiuto grandi imprese e costruito grandi opere, questo sono la necessaria conseguenza, ma se hanno dato la vita, tutta la vita, anima e corpo, a Dio e nel suo Cristo sono giunti a dire «Mio Dio e Mio Tutto».

Ancora una volta appare in tutta la sua potenza ed estensione quanto sia importante tenere presente quando si parla di santità nella vita consacrata a non ridurre Cristo solamente ad un modello da imitare per rispondere alla grazia di Dio e operare il bene, ma è necessario ricordare, fare memoria che Cristo è il dono di Dio all'uomo e la vita consacrata è dono dello Spirito e chi è chiamato è in primis il segno della misericordia di Dio gratuitamente offerta e continuamente offerta e offerta a tutti.

Per onesta occorre dire che esiste anche il pericolo opposto sottolineando il dono e disprezzando le opere e così dimenticare l'imitazione di Cristo e il suo invito a portare frutto.

Il consacrato vive questa tensione che poi è il segno del già e non ancora, o anche del et et, del «siamo di Cristo e siamo Cristo», espressione di Sant'Agostino che sintetizza il compito consacrato, mostrare e far toccare la santità di Dio.

Ultima modifica il Mercoledì, 22 Luglio 2015 14:32